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domenica, 14 Settembre, 2025
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Gli effetti nefasti della radicalizzazione

Lo stile come sostanza della democrazia: la lezione di Guido Bodrato e la deriva del linguaggio politico contemporaneo. Quando la radicalizzazione diventa metodo, la violenza è dietro l’angolo.

Tra i meriti politici, culturali e forse anche etici della Democrazia Cristiana e del pensiero storico del cattolicesimo politico italiano c’è sempre stato quello di respingere qualsiasi forma di radicalizzazione della lotta politica, di polarizzazione ideologica e anche e soprattutto di violenta ed implacabile contestazione del “nemico” politico.

Sembrano, questi, solo tasselli di un mosaico riconducibile al ‘metodo’ dell’azione politica. Non è così. Il ‘metodo’, nella concreta azione politica, è anche ‘merito’. È, questa, una delle ultime ed instancabili “lezioni” di Guido Bodrato, leader della Democrazia Cristiana nonché uno dei più autorevoli esponenti del cattolicesimo democratico, popolare e sociale del nostro paese. Perché il ‘metodo’, cioè lo stile, era e resta la cifra essenziale, se non addirittura decisiva, che evidenzia, o meno, chi persegue realmente la qualità della democrazia.

Il linguaggio triviale e i suoi pericoli

Le polemiche di questi ultimi giorni sul linguaggio triviale e sempre più inquietante dei 5 Stelle – che non è affatto una novità per l’esperienza concreta di quel partito – e di altri settori della politica e del giornalismo del nostro paese, evidenziano in modo plastico che proprio la radicalizzazione della lotta politica non può che avere effetti devastanti per la salute del sistema politico da un lato e per la stessa salvaguardia dei principi e dei valori democratici e liberali dall’altro.

Non si tratta di generalizzare gli eccessi – che comunque ci sono e sono diffusi e ben radicati in precisi segmenti della società italiana – del tipo “uno in meno” oppure “se l’è cercata”. Si tratta, semmai, di rendersi conto che quando l’obiettivo, neanche troppo nascosto, di un gruppo o di un partito o di un movimento è quello di criminalizzare l’avversario/nemico prima e di annientarlo politicamente poi, la violenza è già presente. Certo, solo verbale, ma il passaggio ulteriore – quello fisico – è dietro l’angolo. Perché prima o poi avviene.

Una lezione da riscoprire

Ecco perché, per tornare alla riflessione iniziale, e in una cornice internazionale dove oramai la violenza politica è diventata una componente essenziale, se non addirittura decisiva dello stesso confronto politico, la riscoperta di quella “lezione” democratica non può che essere prioritaria.

Ma forse è anche il caso di ricordare che quella lezione non può scientificamente arrivare da chi teorizza la radicalizzazione politica e la polarizzazione ideologica come armi strutturali e del tutto fisiologiche del confronto politico. Radicalizzazione politica e polarizzazione ideologica che, inevitabilmente, sfociano prima nella deriva degli “opposti estremismi” e poi, altrettanto inesorabilmente, nella voglia di eliminare il nemico.

Il destino della democrazia

Per queste ragioni, almeno per chi proviene da una tradizione autenticamente democratica e schiettamente costituzionale, non si può continuare ad assistere passivamente a questa progressiva degenerazione del linguaggio politico destinato a sfociare nella violenza politica.

In discussione, infatti, c’è la qualità della democrazia e, soprattutto, il destino del nostro sistema democratico e costituzionale. Obiettivi che non possono essere perseguiti da chi, semplicemente, vuole eliminare il nemico politico attraverso modalità oscure e per nulla affidabili.