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venerdì, 19 Settembre, 2025
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Burocrazia e tecnocrazia contro la fondamentale libertà del pensiero

L’autore riflette sul cortocircuito tra progresso, linguaggio impoverito e crisi democratica: un mondo dove il conformismo rischia di soffocare coscienza e relazioni autentiche.

Da quando si è innervata nella vita quotidiana l’ossessione del progresso, con l’enfasi della modernità e della post modernità, tutto è andato maledettamente a complicarsi. Il miraggio del benessere ha divaricato la stratificazione sociale, il ceto medio (ex borghesia) si è impoverito, si sono create nicchie intoccabili di ricchezza (in parte colluse con il potere, in parte per una cancrena valoriale che ha virato decisamente al peggio) e sacche espandibili di povertà: lo certifica l’Istat, lo conferma la Caritas, lo spiega il Censis.

Una torre di Babele moderna

Tante cose sono cambiate a cominciare dal loro nome, abbiamo introdotto espressioni lessicali sempre più contorte, sigle e acronimi indecifrabili ma siamo scivolati verso un impoverimento linguistico che ci preclude la comprensione della realtà, procedure sempre più artefatte e complicate: e non mi riferisco solo all’antica metafora della parola data e della stretta di mano (che pure anticipavano e risolvevano tanti garbugli), ora ci servono algoritmi, tecnologie sofisticate, mentre un uso distorto dell’intelligenza artificiale atrofizza e sostituisce l’uso di quella naturale. 

Disponiamo di mezzi di comunicazione dalle potenzialità straordinarie ma non riusciamo più a parlarci, a capirci e a comprenderci, dalle beghe di condominio alle guerre devastanti. Non ci si ferma più, siamo vittime delle sovrastrutture logiche e illogiche che abbiamo costruito ma abbiamo alla fin fine prodotto una criptica e caleidoscopica torre di babele. Nella società complessa, trasparente, liquida e digitale il senso del diritto ha prevaricato quello del dovere, così hanno fallito i singoli e le istituzioni.

Sfiducia e delusione

Il bisogno di intermediazione sociale non è stato soddisfatto dal decentramento gerarchico né da quello autarchico. Le campagne elettorali hanno dello scandaloso: programmi zero e prevaricazione di lotte intestine e personali, mancano un’idea di Stato e un modello sociale convincente. Prima, seconda terza e quarta Repubblica sono finzioni semantiche e persino storiche: non credo di essere il solo a pensare che staremmo meglio con meno apparati capaci di generare un effetto moltiplicatore di burocrazia. 

Il Risorgimento ci aveva consegnato un’idea di nazione che ci univa, a poco a poco è stata disgregata nei mille rivoli degli egoismi locali – la globalizzazione ne è l’alibi paradossale – meri centri di potere generatori di conflitti, sovrapposizioni, interferenze, contenziosi: dovevano servire a risolvere e semplificare, ma sono diventati il volano di problemi sempre più complessi che allontanano i cittadini dalle istituzioni, una sorta di ritrazione silenziosa di massa alimentata da sfiducia e delusione. 

L’autonomia si trasforma in privilegio, la discrezionalità in sfida e spregio, trasparenza e privacy sono sapidi condimenti di una demagogia che affligge l’immaginario collettivo, la stessa democrazia è in grave pericolo. Libero mercato, par condicio, sondaggi, digitalizzazione, counseling dei call center, influencer e imbonitori ci stanno imprigionando in una gabbia dalla quale difficilmente usciremo perché il cambiamento continuo delle regole genera insicurezza.

La coscienza come ultima difesa

Ansia e depressione sono epifenomeni della sensazione del “non farcela”, si predica la sostenibilità generazionale ma si diseducano i giovani con la pedagogia sociale del ‘tutto è permesso’, mentre si isolano e si marginalizzano gli anziani a mero fardello delle logiche computazionali, vittime dei falsi miti dell’efficienza e dell’efficacia, in un mondo effimero dove alla fine siamo tutti più soli. Burocrazia e tecnocrazia sono degenerazioni cancerogene che si frappongono all’autenticità delle relazioni umane, sono la fine del pensiero critico, la tomba delle identità, il carcere dove lentamente si affievolisce la coscienza come sede dell’intimo convincimento e della scelta tra il bene e il male. 

Citare Platone, Sant’Agostino, Pascal, Kant, Dostoevskij sarebbe perfino impenetrabile alla comprensione dell’immaginario collettivo contemporaneo. Ci basti sapere che ne scrive oggi Dan Brown ne L’ultimo segreto: “Non c’è tema più importante della coscienza umana”. Non possiamo sfuggire a questa verità che ci salva dal bavaglio degli apparati e dalla morte del pensiero.