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mercoledì, 1 Ottobre, 2025
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Oltre Greta: servono nuovi attivisti e soprattutto una nuova politica sull’ambiente

Roger Abravanel denuncia la deriva ideologica dei Fridays for Future. Una riflessione che chiama in causa la responsabilità della politica, sia a livello europeo che italiano.

Una volta c’era Greta Thunberg, la ragazza che con un cartello in mano davanti al Parlamento di Stoccolma trasformò un tema tecnico e scientifico in un movimento di massa. Quel gesto solitario, nato nel 2018, aveva il merito di riportare la questione climatica nel cuore del dibattito pubblico e di smuovere governi e imprese. I “Friday for Future” sembravano allora un formidabile strumento intergenerazionale per contrastare il riscaldamento globale.

La critica di Abravanel

Oggi quella stagione appare lontana. Come osserva Roger Abravanel in un articolo apparso ieri sul Corriere della Sera (“Salvare il pianeta dagli ambientalisti”), Greta e il movimento che la circonda hanno imboccato un’altra strada. La battaglia per la sopravvivenza del pianeta si è trasformata in un’arena ideologica, dove ambientalismo, anticapitalismo, colonialismo e persino antisionismo finiscono per confondersi. Così, da piattaforma universale, i Fridays for Future si sono ridotti a megafono di una agenda politica di estrema sinistra, con il rischio di allontanare molti cittadini. Non è un caso che i giovani tedeschi del movimento si siano dissociati dalla loro fondatrice.

Dallutopia al pragmatismo

Per Abravanel, l’errore è evidente: trasformare la questione climatica in un “totem” ideologico non solo indebolisce la causa, ma favorisce gli avversari.

Il punto, allora, è tornare a un ambientalismo che non rinunci all’urgenza della sfida climatica, ma la liberi dal peso delle ideologie. È il senso di un passaggio incisivo dell’articolo: «Abbiamo bisogno di una nuova generazione di attivisti che non cerchino solo occasioni di protesta contro il fossile, il capitalismo, Israele, ma suggeriscano soluzioni informate e pragmatiche». Non sit-in rituali o flotillas mediatiche, dunque, ma un lavoro paziente di proposta: come aumentare le energie rinnovabili senza gravare sui costi sociali, come adattare città e territori a un pianeta che non rispetterà l’obiettivo di +1,5 gradi.

Il ruolo della politica

Qui si innesta una considerazione decisiva. Non basta che gli attivisti cambino passo: occorre che la politica esca dalle semplificazioni, ritrovi serietà e capacità di guida. La transizione climatica è al tempo stesso ambientale, sociale ed economica. Senza politiche pragmatiche e lungimiranti, capaci di attrarre investimenti e accompagnare le trasformazioni industriali, non ci sarà alcuna possibilità di successo. Serve un equilibrio nuovo, che respinga sia il negazionismo sia l’estremismo.

In questo senso la riflessione di Abravanel è lucidissima: non basta denunciare i limiti della “Greta ideologica”, bisogna aprire la strada a un ambientalismo adulto, maturo, pragmatico. E, parallelamente, a una politica che sappia affrontare la sfida più grande del nostro tempo con realismo e responsabilità.