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giovedì, 2 Ottobre, 2025
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Insegnamento dell’italiano, priorità per l’integrazione degli immigrati

La scuola Penny Wirton, fondata da Eraldo Affinati e Anna Luce Lenzi, rappresenta un modello di inclusione e di relazione umana che va oltre l’apprendimento linguistico.

I movimenti migratori nel mondo si stanno espandendo a un ritmo crescente. Si calcola che, approssimativamente, 200 milioni di persone dovranno abbandonare le loro terre d’origine a causa di diversi fattori, quali il cambiamento climatico, le guerre in corso (circa 50 attualmente) e le persecuzioni politiche.

Italia in prima linea

Se a questi fenomeni si aggiunge il cosiddetto “inverno demografico”, che si sta verificando non solo in Europa, ma anche in paesi asiatici come Cina e Giappone, e in parte negli Stati Uniti, si può desumere che, nonostante l’imperante propaganda anti-immigrazione, sia necessario prepararsi non solo ad accogliere questa immensa massa di persone, ma anche a inserirla in un contesto sociale ed economico, affinché possa rappresentare un valore aggiunto per lo sviluppo e il benessere globale.

L’Italia, per la sua posizione strategica, non fa eccezione, anzi: è esposta in prima linea sul tema dell’immigrazione, anche se gli strumenti finora adottati dai governi appaiono più orientati a una logica repressiva che all’accoglienza.

Il primo, indispensabile step per consentire a chi arriva di comprendere e relazionarsi con la nuova realtà che gli si presenta, è l’apprendimento della lingua italiana, che al momento è affidato in gran parte alle organizzazioni di volontariato.

 

Lesperienza Penny Wirton

In questo contesto emerge una realtà fondata diciotto anni fa dallo scrittore e insegnante Eraldo Affinati e da sua moglie Anna Luce Lenzi, anch’essa insegnante. Partita con un piccolo gruppo di volontari, oggi ha raggiunto dimensioni nazionali.

Il nome della scuola, completamente gratuita, che insegna l’italiano agli stranieri è Penny Wirton, tratto da un libro dello scrittore Silvio D’Arzo, il cui protagonista è un ragazzo che cerca la propria collocazione, con tutte le difficoltà del caso, nel mondo che lo circonda — proprio come coloro che hanno abbandonato il loro paese natale.

Una non-scuola”

L’originalità della scuola, che in maniera azzardata potremmo definire una “non-scuola”, sta nel rapporto uno a uno tra docente e studente, nell’assenza di valutazioni per entrambi, ma soprattutto nel valore aggiunto che si crea nella relazione umana.

Non si tratta soltanto di trasmettere, attraverso strumenti didattici predisposti dalla scuola, il maggior numero possibile di nozioni relative alla lingua italiana, ma anche di far sentire la persona accolta in una comunità. Questo coinvolgimento passa attraverso l’opera del volontario, che non è un semplice docente, ma a sua volta si arricchisce, sperimentando nuove dimensioni culturali e storie personali.

Una comunità multicolore

Alla Penny Wirton, infatti, gli studenti provengono da nazionalità variegate — solo per citarne alcune: cinesi, venezuelani, marocchini, egiziani — e anche le età e i livelli culturali sono molto diversi. Questa situazione, anziché costituire un ostacolo, rappresenta un punto di forza e spiega, forse, il rapido sviluppo dell’iniziativa.

La scuola per facilitare il lavoro dei docenti ha elaborato due libri, scritti dai fondatori, dal titolo Italiani anche noi. Il primo consiste in una serie di lezioni sulla grammatica italiana ed il secondo contiene esercizi di carattere interattivo. Penny Wirton non è finanziata, non fa raccolta fondi, ma basa tutta la sua attività sul volontariato e sulla collaborazione di alcune realtà — parrocchie, enti regionali, ecc. — che mettono gratuitamente a disposizione gli spazi in cui si tengono i corsi.

Una lezione di umanità

Certo, le difficoltà non mancano, ma questa attività rappresenta un segno tangibile di un processo ben più complesso, che dovrebbe essere messo in atto per supportare coloro che, arrivando, rappresentano un pezzo del nostro futuro e di quello delle generazioni che verranno.

Si può concludere con una leggenda africana: mentre la foresta brucia, tutti gli animali fuggono. Rimane solo il leone, che, pur avendo paura, deve restare lì per ultimo, come compete al suo ruolo. Quando è certo che tutta la fauna sia in salvo, si appresta a uscire anche lui, ma nota un colibrì con una goccia d’acqua sul petto che si dirige verso l’incendio. Il leone gli chiede dove pensa di andare con quell’aiuto così ridicolo. La risposta è illuminante: “Ognuno, anche nel suo piccolo, deve fare la sua parte.”

Questo è il vero tema: anziché alimentare la paura del diverso, è urgente mettersi in gioco, con le soddisfazioni e i rischi che ciò comporta.

Marco Coletti

Volontario Penny Wirton