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lunedì, 6 Ottobre, 2025
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Davvero siamo nelle mani della televisione e dei social?

Le paure legate all’intelligenza artificiale e alle fake news oscurano una verità antica: non siamo spettatori passivi, ma interpreti attivi, dotati di memoria, relazioni e libertà di giudizio.

“…Nonno, le fotografie che vedi, sono tutte balle.”

Così l’altro ieri mia nipote, vedendomi col cellulare davanti agli occhi. Io l’ho ringraziata annuendo, pur sapendo da tempo che diceva una sacrosanta verità. Una verità oggi spaventosamente ingigantita dall’uso menzognero e incontrollato dell’IA, che ti fa assistere a un incontro di boxe sul ring fra Putin e Trump, e il cui uso, nelle sue ripercussioni sulla cultura, sui rapporti fra persone, sulla società, sui ceti operai, medi e alti che siano, è ancora del tutto sconosciuto.

Questo involontario richiamo alle fake images di mia nipote è tuttavia servito a stimolare alcuni miei convincimenti che mi hanno sempre fatto compagnia, e che accennerò in questo appunto.

Dubbi e condizionamenti

Ma veramente noi ci beviamo tutto quello che sentiamo e vediamo, e che siamo telecomandati senza saperlo e volerlo?

Ed è vero, ad esempio, che abbiamo cominciato a prendere le distanze da Netanyahu solo dopo i recenti e voluminosi moti di piazza e i cortei della Flottilla?

Dispiace molto registrare che ai nostri giorni le più diffuse notizie siano concentrate sui pericoli e sui condizionamenti irreparabili delle fake news e delle fake images che circolano.

Notizie false, foto false, video falsi, discorsi di leader creati dal nulla: il tutto pensato e collocato nelle varie reti comunicative, non solo digitali, col proposito di condizionare profondamente, sino al punto di far cambiare idee. Addirittura di far votare un partito che non ci piace.

I servizi segreti di Putin e le agenzie dell’intelligence di Mosca sarebbero i primi a fare circolare silenziosamente nel mondo queste false notizie.

Il silenzio degli studiosi

E dispiace di più che gli studiosi, i sociologi, gli esperti del problema, di fronte a tutte queste paure, rimangano stranamente in silenzio.

Senza chiarire le complessità e le varie sfaccettature del rapporto fra messaggio e consumatore del messaggio, fra lo stimolo del messaggio e la risposta del fruitore.

Si dà ormai per scontato un rapporto meccanico diretto di causa ed effetto, come afferma la teoria comportamentista e deterministica:

vedo nero, reagisco in nero, penso in nero e… voto nero.

Intendiamoci bene: influenze della comunicazione e dell’informazione ce ne sono, soprattutto con messaggi emotivi che destano paure. Altrimenti non si spiegherebbero i miliardi investiti in spot pubblicitari.

Ma sono influenze da valutare con attenzione, scandagliando in profondità il fenomeno.

Perché può anche darsi che un dato detersivo me lo consigli la mia migliore amica, e non la sua continua pubblicità fatta con un attore simpatico.

 

La difesa dellesperienza

Bene. Il vecchio convincimento sulla falsità delle foto, sollecitato da mia nipote, se confrontato con l’apocalittica e indifesa dipendenza totale dai media e dai social che spesso gira nell’opinione pubblica, è tuttavia di una certa attualità.

Una vecchia teoria della comunicazione e dell’informazione suggerisce invece che non è vero che noi siamo passivi e indifesi recettori di messaggi e immagini.

Ed è falso che rispondiamo come robot senza idee, senza anima e senza coscienza.

Questo continuo flusso che ci investe quotidianamente si misura sempre e inevitabilmente con le nostre esperienze di vita, con i nostri gruppi primari, con i nostri rapporti interpersonali, con le idee maturate e incamerate nella nostra coscienza, accumulate col trascorrere del tempo.

A partire da quelle apprese nella famiglia dove si è nati e cresciuti – positive o negative che fossero – passando per i compagni e gli amici, transitando per la stima verso qualche opinion leader di gruppo, fino alle idee prevalenti nei luoghi di lavoro e, infine, nelle associazioni giovanili, laiche o cattoliche, con i valori da esse dichiarati e diffusi.

La teoria del rafforzamento

La teoria suggeriva infatti che il nostro modo di pensare e agire, di valutare le cose del mondo, era parte fondamentale delle nostre precedenti persuasioni, quando non si trasformava in precedenti certezze.

E che tutto quello che girava sui media e che noi selezionavamo per libera scelta – ciò che ascoltavamo alla radio, vedevamo in TV e oggi, “senza chiedere permesso”, interagiamo sui social – non era altro che parte delle nostre idee maturate nel tempo.

Non faceva che rafforzarle o raddrizzarle un poco, senza modificarle.

È la teoria che due studiosi e sociologi americani del secolo scorso, Elihu Katz e Paul Lazarsfeld, proposero e sostennero sin dai primissimi anni ’50, anche con ricerche sul campo:

la teoria del rafforzamento delle idee possedute e del ruolo di mediazione esercitato da una persona che stimiamo.

Ma non della passiva accettazione di tutto ciò che si sentiva o si vedeva, pronti a ingoiare e digerire come degli affamati tutto ciò che ci veniva mostrato.

Una teoria dimenticata

In questi lunghi anni mi ha fatto impressione constatare che studiosi, sociologi, politologi, commentatori, editorialisti preparati abbiano dimenticato di fare almeno un cenno a questa teoria, a mio modesto avviso ancora validissima.

Collocando tutta l’opinione pubblica nelle mani delle fake news e delle fake images create volutamente per ingannarci e condizionarci, senza alcuna nostra personale difesa.