Il tempo scorre immancabilmente sull’onda di questa politica mondiale completamente assuefatta alle leggi severe e ciniche di un economicismo ormai senza freni.
Armi, guerre e ricostruzioni
Gli esempi di Trump, Putin, Netanyahu sono eloquenti per portare avanti una tesi sulla quale occorrerebbe riflettere seriamente. Tutto l’ordine mondiale, anzi oserei dire tutta la crescita economica del mondo risponde ormai a queste tre variabili: la vendita delle armi, le guerre che ne conseguono ed infine le ricostruzioni.
In questi ultimi giorni si è plaudito da più parti all’iniziativa politica efficace di cessate il fuoco messa in campo da Donald Trump nella striscia di Gaza.
Ma nessuno riflette sul fatto che tutto ciò avviene dopo aver ammazzato civili innocenti (tra cui migliaia di bambini) e, anche, dopo aver venduto armi, aver distrutto intere città al solo fine di iniziare l’opera di ricostruzione da parte di una ristretta oligarchia economica mondiale che, certamente, non guarda alla pace come realizzazione di una convivenza civile tra popoli diversi, bensì come mezzo di arricchimento personale e di casta.
Il trionfo della realpolitik e la crisi dei valori
Le tragedie umane, le guerre, alle quali assistiamo ormai inermi da diversi anni, non sono altro che il frutto di questa politica economicista che di politica (nell’accezione più vera del termine) non ha più niente, se non la legittimazione della forza come principio supremo di tutte le Nazioni.
La cosa che più meraviglia in questo scenario tetro e privo di qualsiasi valore umano è che anche la quasi totalità degli opinionisti si sono assuefatti a questa realpolitik, che ha messo in un angolo i valori non solo religiosi, ma soprattutto di quell’umanesimo laico sul quale le forze politiche della sinistra storica avevano costruito non tanto un consenso politico, ma una cultura sociale che abbracciava le diverse generazioni del secolo scorso.
L’eredità smarrita del Novecento
Già, il secolo scorso! Sembra ormai lontano o, perlomeno, non più in grado di incidere a livello di cultura politica sul “nuovo” che si è realizzato negli ultimi decenni.
Ma quando si sente dire da un giornalista acuto qual è Marco Travaglio (anche se chi scrive non condivide tutto il suo pensiero) che ormai tutti debbono rassegnarsi al fatto che gli ideali in questi tempi occorre metterli da parte, bisogna cioè fare i conti con questa realpolitik, ed anzi bisogna vestire questi panni, mettendo da parte valori quali il solidarismo, il comunitarismo (che è il contrario dell’individualismo), la realizzazione di una giustizia politica, economica e sociale perché il mondo va in tutt’altra direzione.
Quando si sente affermare che l’idealismo non è fatto per questo Terzo Millennio, allora tornano alla mente non soltanto la cultura del Novecento, i suoi valori, i suoi ideali e le sue ideologie (con tutte le storture che tale secolo è stato in grado di produrre: prima e seconda guerra mondiale), le sue battaglie civili e sociali; ma quelle figure che da sponde diverse, da culture diverse hanno saputo incarnare e realizzare il sentimento del popolo italiano per tradurlo in una Carta di principi che è l’antitesi di questa politica urlata e vuota, di questo costume politico che ha relegato la giustizia ad un optional, di questa classe politica di nominati dalle oligarchie dei vari clan politici.
Riprendere il coraggio del pensiero libero
Quando si arriva a tutto questo vuol dire davvero che si è toccato il fondo e che, senza accorgersene, si sta trascinando il mondo verso il baratro.
Riprendere con coraggio un percorso politico-ideale è il dovere che sta innanzi alle coscienze vere, limpide, a coloro che pensano ancora, malgrado tutto, che la politica non è né personalizzazione, né spettacolo, né arroganza.
È ancora possibile tutto ciò?
Mi torna sempre alla mente un colloquio con Luigi Granelli nell’ormai lontano 1988, quando mi spiegava che l’impegno politico autentico di un cattolico democratico era quello di saper andare controcorrente, di non assuefarsi al puro esercizio del potere.
Oggi il saper andare controcorrente significa non assuefarsi alla politica di Trump, Putin, Netanyahu e (perché no?) di Giorgia Meloni.