All’annuncio dell’assegnazione del Premio Nobel per la Pace a Maria Corina Machado, leader dell’opposizione al regime venezuelano, Donald Trump non ha reagito con qualcuna delle sue espressioni volgari o delle sue provocazioni elaborate con l’Intelligenza Artificiale. Ha invece cordialmente telefonato alla premiata, congratulandosi vivamente. Ma non si è trattato di un mero gesto di cortesia, pur apprezzabile e degno di nota, considerato il personaggio.
Machado, l’opposizione e i rapporti con Washington
Machado è una conservatrice che sostiene senza remore l’operato del Presidente Usa, soprattutto dal punto di vista ideologico. Ed è la più autorevole oppositrice di Nicolas Maduro, l’erede di Hugo Chavez, al potere dal 2013 ma accusato da Stati Uniti, Unione Europea e diverse nazioni latinoamericane (anche quelle oggi governate dalla sinistra, come Brasile, Messico, Colombia) di aver truccato i risultati delle elezioni del 2024, le cui irregolarità largamente registrate hanno superato quelle già emerse nelle precedenti consultazioni del 2018.
Machado è amica personale di Marco Rubio, il Segretario di Stato leader repubblicano della Florida, espressione della più determinata politica di duro scontro con paesi ispanici ostili agli Usa come Cuba e, appunto, Venezuela. Costretta dal regime alla clandestinità nel suo stesso Paese, è ovviamente speranzosa in un intervento americano che possa favorire la fine del regime. Ma non attraverso un’azione di tipo militare.
La svolta militare di Trump nel Mar dei Caraibi
E invece è proprio questa che Trump sta minacciando. In un primo tempo il volubile tycoon non aveva prestato troppe attenzioni alle pressioni del suo Segretario di Stato, sostenitore della necessità di adottare verso il regime di Maduro misure a cominciare da quelle economiche. Così, ad esempio, la Chevron aveva firmato un accordo col governo di Caracas per continuare a pompare greggio nel Paese, con evidenti vantaggi anche per le casse dello Stato venezuelano (oltre che per il gruppo petrolifero).
Durante l’estate, però, qualcosa deve essere successo. Perché già il primo giorno di settembre navi della Marina a stelle e strisce hanno attaccato e affondato nel Mar dei Caraibi, in acque internazionali, un’imbarcazione battente bandiera venezuelana. Un’operazione poi replicata più volte (con un bilancio a oggi di 42 vittime), integrata con una consistente presenza navale nell’area, ai confini con le acque venezuelane, ufficialmente indirizzata contro i “cartelli della droga”, due in particolare, con base proprio in Venezuela. Definite “organizzazioni terroristiche straniere” dall’Amministrazione americana. Di una di queste, Cartel de los Soles, Maduro sarebbe addirittura il capo, o uno dei capi: ma prove in tal senso non ne sono mai state fornite.
In ogni caso, la catalogazione alla voce “terrorismo” ha consentito a Trump di utilizzare le Forze Armate, aggirando FBI e DIA, le Agenzie federali che si occupano delle operazioni antidroga, secondo uno schema ormai chiaro che tende a comprimere gli spazi di manovra degli enti che non rispondono direttamente e immediatamente alla Casa Bianca.
Il rischio di un nuovo fronte nella competizione globale
La situazione che si è venuta a creare ha un riflesso geopolitico importante e potenzialmente pericoloso. Già, perché Maduro – avversato e non riconosciuto da tutto l’Occidente – ha in questi anni stretto rapporti ancor più intensi con Cuba e con la Russia, avviandone di nuovi anche con la Cina. E non è difficile immaginare come gli Stati Uniti possano temere il protrarsi di una situazione che potrebbe generare rischi per la loro sicurezza, essendo il Venezuela un Paese di vaste dimensioni posizionato a sole 1.700 miglia dalla Florida.
Traffico di droga e anche di immigrazione clandestina, altro cardine della narrazione trumpiana: per bloccare entrambi qualsiasi mezzo è lecito, dunque pure quello militare. E infatti è in arrivo in zona la più grande portaerei americana, la USS Gerald Ford. Con questa presa di posizione il Presidente statunitense – al solito bypassando il Congresso – intende esercitare una forte pressione su Maduro, il quale a sua volta potrebbe essere tentato dal richiedere esplicita protezione ai suoi alleati. Uno scenario alquanto preoccupante, invero.

