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mercoledì, 29 Ottobre, 2025
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Noi e la Dilexi te

L’enciclica di Leone XIV richiama credenti e non a un nuovo paradigma: non assistenza, ma comunione. Nei poveri, il volto di Cristo che interroga la nostra libertà e responsabilità.

Se non ci fossero i poveri, i ricchi non saprebbero di essere tali. Sarà per questo che i poveri per generosità d’animo non hanno mai fatto mancare al mondo la loro presenza. Sono per il mondo attuale il faro pericoloso di come ci si deve condurre all’opposto, una luce dalla quale guardarsi per non imbattersi nelle secche della bocca asciutta e le tasche vuote. 

Lo spirito dell’enciclica

In 120 piccole pagine Leone XIV ha messo giù una esortazione apostolica sull’amore verso i poveri che nessuno, soprattutto ma non soltanto i Cristiani, dovrebbe sentirsi esente dalla lettura. Non si tratta del solito sermone circa l’essere generosi e caritatevoli, peraltro tanto ricorrente quanto inascoltato. E’ qualcosa di assai più impegnativo che porta ad un cambio di paradigma circa il modo di condursi nella propria esistenza. Le rivoluzioni portano sempre con sé il germe di un pericolo e il pericolo del bene è quello, se ti attacca, non conosce antidoti a contrasto. 

La convenienza dell’amore

Si parte da Gesù Cristo, la cui famiglia non se la passava affatto per il meglio, posto che al tempio offrivano colombe o tortore, l’offerta tipica degli indigenti. Eppure, piaccia o no, Dio ha una predilezione per i poveri promettendo loro il Regno dei cieli. Non è un modo per scappare dalla sua responsabilità di accudimento, un espediente consolatorio per non provvedere subito al da farsi ma perché misura la partita sul piano dell’eternità che agli uomini sta invece così stretto. Troppo vasto l’infinito per starci comodi. Amare il proprio prossimo come se stessi, per primi i poveri, significa semplicemente imparare ad amarsi, comprendere che l’amore è la sola ricchezza a cui badare. 

L’esempio di attenzione per la povertà dei Santi e della Chiesa

L’apostolo Giacomo ammonisce che se la fede non è seguita dalle opere in sé stessa è opera morta. Rincara la dose del richiamo a chi fa orecchie da mercante ed in una sua lettera scrive che “il vostro oro e il vostro argento sono consumati dalla ruggine, la loro ruggine si leverà ad accusarvi e divorerà le vostre carni come un fuoco”. Papa Sisto II, costretto dai Romani a consegnare i beni della Chiesa, offrì i poveri a cui provvedeva, indicandoli come i tesori su cui contava. Per S Ambrogio l’elemosina non è altro che giustizia ristabilita, non un gesto di paternalismo. San Giovanni di Dio esortava: “Fate del bene, fratelli miei” mettendo in campo un affetto materno verso il prossimo. Gli Ordini mendicanti, si legge nella enciclica, vedevano la città come un nuovo deserto e gli emarginati come nuovi maestri spirituali. Da loro, se si comprende correttamente, la lezione di come si debba stare al mondo in comunione di spirito. 

San Francesco era autore di una povertà relazionale che lo portava a farsi prossimo agli altri. Il discorso vale anche per i migranti del mondo a cui provvedeva il vescovo Scalabrini assistendoli per ogni necessità spirituale e legale, oltre che, si direbbe oggi di “ambientamento”, lì dove erano diretti. E’ insomma nei poveri che Cristo continua a soffrire e a risorgere, che non ha bisogno della nostra pietà ma del nostro amore comprensivo, secondo le parole di Madre Teresa di Calcutta. 

Istituzioni, poteri e la povertà

Per Leone XIV non si tratta di portare Dio ai poveri ma di incontrarlo presso di loro, occorrendo non una politica verso i poveri ma dei poveri, così che diventa peccato sociale ogni struttura di ingiustizia. Ciò a tutto dispetto dell’erroneo convincimento per cui la “razionalità economica esige da noi di aspettare che le forze invisibili del mercato risolvano” esse stesse le crudeli disparità tra gli uomini oggi più che mai presenti. Anche i meno dotati è i più deboli, e perché no i meno capaci, hanno pertanto diritto a pari dignità sulla terra. 

Così stando le cose, l’enciclica ci dice che i poveri non sono un problema sociale ma piuttosto una questione familiare che appartiene pienamente a tutti. Sono i poveri, per parlar chiaro, ad evangelizzarci e sta a noi saperli ascoltare e metterci alla sequela delle loro persone. Infine la sola elemosina non è da far mancare, essa, secondo San Giovanni Crisostomo, è l’ala della preghiera senza la quale non potrà volare. Di fondo, cristiani e non cristiani farebbero cosa buona a leggere l’enciclica perché una nuova era è tutt’ora possibile ma non è detto che non si stanchi di attenderci. Se non ci “prossimizziamo”  avremo tutti partita persa.