Primo atto: il ritorno in Curia
La regina Cleopatra, gira che gira per il mondo, alla fine tornata in Curia. I senatori, avvertiti da Cesare di non far mancare il numero, si sono disciplinatamente presentati. E sono stati ad ascoltare. E pure Cesare, celato sotto un’ampia toga, si è messo sul loggione, in alto tra la plebe. Qualcuno se ne accorge e lesto va dalla regina a riferire: “Regina, c’è Cesare lassù, in alto all’ultimo piano della Curia”. Lei non alza lo sguardo, si scurisce un attimo in volto, solo un attimo, e attacca il discorso tutto d’un fiato. In tutto il tempo di due clessidre non alzerà mai lo sguardo dai quattro fogli del suo discorso.
Cleopatra snocciola numeri positivi e successi duraturi, tutti quanti fatti in questi tre anni che sta girando per il mondo – urbis et orbis come un pontifex – in nome e per conto di Cesare e del popolo romano.
Successi proclamati e veleni di palazzo
La Regina Cleopatra canta le meraviglie di quanto è riuscita a portare in termini di immagine presso gli alleati federati del continente europeo e nel mondo tutto, e mentre parla si toglie i sassolini dalle scarpe su chi pensava che lei, la divina regina d’Egitto, non fosse all’altezza del compito.
Le dame romane – che si sa, hanno la lingua intrisa nel veleno – si tolgono lo sfizio con un commento di Valeria, nipote di Giulia: “Mah! Non era quella in seconda fila nella foto di gruppo in Egitto?”
Sulla questione dei Filistei poco fuori dai confini del regno suo, Cleopatra punta tutto su coordinare la ricostruzione post guerra anche in senso militare, forte del sostegno dell’uomo al di là del grande mare. Quanto alla guerra ad Est propone la pace condivisa tra i federati, senza soldati, ma solo per la ricostruzione.
“Pare la regina del mattone” – ironizza un plebeo. “D’altro canto con tutte le piramidi che ha costruito, che ti aspettavi?”, risponde un altro. Ma Cesare vede altro. Cleopatra ha la visione lunga di chi pensa di restare saldamente ancora per qualche anno. Critica molto il sistema dei federati ma in chiave del tutto personale, sempre in nome di Cesare però.
L’irruzione dei Iudices
Alcuni Senatori non ci stanno e battagliano. Altri ovviamente plaudono. Altri stanno in silenzio. Cesare esorta: “Aspettiamo la risposta. Ha preso appunti mentre parlavano i senatori”.
Quando arriva il momento della replica, la regina Cleopatra cambia atteggiamento: si muove, guarda i seggi, risponde direttamente a qualcuno dei Senatori, ma ha sempre l’atteggiamento, ormai non più dissimulato, della maestra di mondo e di governo con la penna rossa e blu a spiegare, illustrare, correggere la limitatezza del pensiero altrui. Blandisce qualcuno e stigmatizza qualcun altro. E si toglie sassolini a piè sospinto contro le fazioni politiche che da sempre le sono contro, osteggiandola anche sulle inezie, manifestando di non avere visione complessiva della politica. E partono applausi.
Cesare ha osservato e concluso che troppa sicumera non porta bene. Finché l’alleato che la regina Cleopatra si è portata appresso dall’oceano ha la sua convenienza, la posizione tiene e tutti sono contenti. Nel momento in cui costui trova meglio sganciarsi, l’impero di Cesare è senza rete. E senza sesterzi.
Pochi giorni dopo, mentre tutto sembra avviarsi ad un monotono giorno di governo, ecco che i Iudices, di cui da un po’ di tempo si erano perse le tracce nel dibattito cittadino, sorgono imponenti e prendono tutta la scena.
Il ponte impossibile e la prova di verità
Uno dei luogotenenti della regina Cleopatra molto si è speso per collegare la penisola e l’isola più grande dell’impero romano con un ponte. Ora, si sa che i ponti etruschi a sella d’asino sono indistruttibili; quelli romani un po’ più piatti hanno necessità di manutenzione e lo sanno anche i pueri a Roma che più è grande il tratto di acqua da attraversare più piloni devi mettere nel fondo del mare o del fiume. E la Urbs di Cesare di ponti che scavalcano il dio Tiberis ne conta dodici, tutti ben manutenuti.
Costui invece si è messo in testa di fare un unico balzo da una riva all’altra e ha presentato un progetto che costa una montagna di sesterzi. Cesare e il popolo romano, tavole della lex in mano, chiedono ai Iudices di pronunciarsi. Progetto bocciato. E non perché non ci starebbero i sesterzi, ma perché presentato carente di dati tecnici.
E la Regina Cleopatra insorge, e dietro di lei il suo luogotenente, contro i Iudices. Ora, se fosse successo a Cesare – ed è successo tante volte – che i Iudices bocciassero progetti, Cesare non avrebbe battuto ciglio, ma avrebbe chiamato a sé coloro che hanno presentato il testo e alla romana avrebbe detto e fatto: “Tiè! Uno schiaffone perché mi hai fatto andare dai Iudices a prendere schiaffi in faccia e io sono l’imperatore. Tiè! Il secondo schiaffo è perché scrivi cose che non sai e ti pago pure. Tiè! La pedata sul c.. e te ne vai”.
Dopo di che, il progetto o si ripresentava secondo i crismi di una cosa fatta bene o lo si abbandonava. Ma la Regina Cleopatra è regina per l’appunto, e i Iudices nel regno suo servono per applicare le leggi che fa lei, punire i suoi nemici, ecc… ma mai per contestare il suo operato.
“Vai Calpurnio” – disse Cesare – “porta i miei saluti a Cleopatra, e vedi di ricordarle che nell’impero mio regna, finché son vivo, la democrazia. Ave”.
Ma Calpurnio aveva da poco lasciato il Foro che dalla Curia esplodevano grida di soddisfazione.
“Che festeggiano?” – chiese Cesare. “Hanno approvato la lex della carriera dei Iudices. Mo’ avemo due Iudices, uno per l’accusa e uno per il giudizio”, rispose Flavio Minor che della materia si intendeva.
“E il popolo che vuole?” – si informava Cesare. “Ah, Divo Augusto, vuole essere consultato. Sui Iudices non si fida della legge di Cleopatra. Vuole dire la sua e ha chiesto il referendum”.
“Bene! Ce tocca aspettà”, rispose Cesare con un sorriso sornione.
Epilogo: inverno lungo
La regina Cleopatra nel frattempo si agita, alza la voce e gesticola, rilascia dichiarazioni contro i Iudices rei di aver bocciato “co tanto progetto” immischiandosi così nelle scelte del governo. Freme perché sa che il risultato potrebbe essere incerto per lei. Cesare, se perdesse, finalmente avrebbe un buon grimaldello per licenziarla da Roma e spedirla oltre oceano, dove finalmente potrà scatenarsi con la voglia di comandare, dirigere, emendare, correggere, istruire, ecc…
Lui libero e lei in libertà vigilata.
Ma il vero problema sta qui: come minimo fino alla primavera prossima sono cinque mesi di possibili scontri e baruffe tra la Regina, la Curia, i Iudices, il popolo e il Divo Cesare. Lui lo sa che se la deve tenere in casa, brontolona e corrucciata, perché la cassa dell’impero non trabocca più di sesterzi. Ma meglio a casa che in giro a caccia di guai.
E la nave ammiraglia? D’inverno non si va per mare: la nave sta al porto. Ave.

