C’è un tema che, nel passaggio dalla stagione dei grandi leader e dei raffinati statisti a quella dei parvenu della politica e dei leader per caso, merita di essere approfondito ed indagato. E cioè, la difficoltà, se non l’impossibilità, di essere eredi di quei grandi leader. Certo, lo sappiamo tutti. Ogni leader e ciascun statista non è affatto replicabile. O per l’intelligenza che li ha contraddistinti negli anni o, il più delle volte, per la personalità che hanno sprigionato durante il loro magistero pubblico, politico ed istituzionale.
Ora, per fermarsi ai soli grandi leader della Democrazia Cristiana, è indubbio che al loro nobile magistero si ispirano politici, amministratori e uomini di cultura che sono però impegnati su fronti avversi se non alternativi nella società. È appena sufficiente guardare l’esperienza concreta della “sinistra sociale” e della “sinistra politica” della Democrazia Cristiana dopo la scomparsa dei suoi principali protagonisti politici e dopo la stessa fine della Dc. Ci troviamo di fronte ad una situazione dove, senza rinnegare affatto il magistero di quei leader e dichiarando di proseguirlo, ci sono animatori e protagonisti di quella storia collocati su fronti opposti della politica della cosiddetta seconda repubblica. Chi teorizza la necessità di militare convintamente nel centro destra e chi, in alternativa, sostiene la necessità – sempre in virtù della coerenza con il proprio passato – di rifondare un nuovo e rinnovato centro sinistra. E qui parliamo delle esperienze che nella Dc si sono sempre contraddistinte per la loro serietà e coerenza politica e, soprattutto, per la raffinatezza culturale dei loro protagonisti. Altro discorso riguarda, senza alcuna polemica, le componenti Dorotee e della destra conservatrice e moderata di quel glorioso ed importante partito. Ma lo stesso divario e la stessa contraddizione coinvolgono altre esperienze politiche, come quella della sinistra italiana. Dal Pci al Psi ai gruppi della sinistra extraparlamentare dove non mancavano anche lì, come ovvio, i leader e alcuni statisti. E dove la collocazione postuma dei cosiddetti eredi – almeno di tutti coloro che continuano, legittimamente, a rifarsi ai padri fondatori di quella corrente o di quel partito – è quasi alternativa.
Ora, senza fare nessun processo alle intenzioni e senza entrare nel merito della collocazione dei singoli esperenti o leader contemporanei, è indubbio che l’eredità politica, culturale e forse anche programmatica del passato ha gemmato una pluralità di opzioni politiche e di presenza politica nei vari partiti contemporanei. O meglio, nei vari cartelli elettorali. E questo può anche essere un bene visto la profonda trasformazione della società italiana e, di conseguenza, dei suoi attori politici.
Resta, in ultimo, una sola domanda. Al di là delle molte considerazioni di ordine politico e personale che si potrebbero fare. Ovvero, è ancora possibile rifarsi al magistero politico, culturale, sociale e di governo dei grandi leader della prima repubblica – espressione, al contempo, delle grandi tradizioni storiche ed ideali del nostro paese – senza entrare in contraddizione? Io credo di sì. Ad una condizione, però. Nessuno può o potrà ergersi ad essere l’erede unico. Non lo consente la storia, non lo ammette la politica e, soprattutto, sarebbe incompatibile con la stessa onestà intellettuale.