Entra in vigore il tanto discusso Green Pass, la carta verde che permetterà agli italiani in regola con il “bollo salute” di avere accesso a tutti i luoghi pubblici. La carta verde si ottiene con una dose di vaccino, oppure con un tampone rapido antigenico (valido per sole 48 ore) o con un certificato di avvenuta guarigione da Covid-19, in attesa di vaccinazione. Quindi, come si sospettava, la norma non impone e non prevede alcun obbligo vaccinale ma soltanto, per l’accesso ad alcune attività e luoghi “al chiuso”, la verifica dei requisiti di cui sopra. L’unico settore in cui era previsto l’obbligo vaccinale era quello sanitario, a cui si aggiunge, ora, anche il settore scolastico e universitario. Molti sono gli italiani che, nell’ultima settimana, sono corsi ai ripari prenotando la prima dose di vaccino, in modo tale da poter accedere a qualsiasi luogo senza dover prendere una laurea breve in giurisprudenza o un master in diritto sanitario. Altri, invece, per ragioni di salute o per convinzioni ideologiche, legate più che altro ai dubbi sulle contro-indicazioni del siero vaccinale, hanno deciso di resistere o più semplicemente di attendere. In questo caso il governo non si è avvalso di un Dcpm (decreto attuativo e atto amministrativo) ma di un Dl, nello specifico, del Decreto legge del 23 luglio 2021 n. 105 (Dl 105), visionabile nella Gazzetta Ufficiale.
Il decreto legge è un atto che ha valore di legge previsto dalla Costituzione, che il governo può adottare in casi straordinari (come un’emergenza sanitaria, per intendersi), e decade se, entro 60 giorni, il Parlamento non lo converte in legge. Sostanzialmente, la differenza tra i due sta nel fatto che mentre il dcpm è un atto meramente amministrativo, il dl, sempre emanato dal presidente del Consiglio, è una legge, dunque con maggiore forza rispetto al decreto. C’è chi dice che questo decreto legge sia un “pasticiaccio”, perché di fatto non garantisce altro se non l’invivibilità della vita civile, ledendo persino i sacri principi della libertà personale “sancita dalla Costituzione”. Cosa comporta, di fatto, il Green Pass? Come ci si dovrà comportare nei luoghi pubblici? Chi dovrà farlo rispettare? Il Dl 105, riguardante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica Covid-19, è una misura emergenziale “forte” che durerà due mesi ed a cui, al contrario del dcpm, alla violazione non ci si potrà opporre per via amministrativa, datosi che se una violazione, nel dcpm, è di natura puramente amministrativa, nel secondo caso la stessa violazione diviene reato.
Dunque il Green Pass previsto nell’attuale Dl 105 non può essere eluso in alcun modo. Ma chi controlla ed eventualmente sanziona il reo? Vi è un “vulnus” all’interno della normativa (non si sa bene se voluta dal legislatore o se accidentale) che potrebbe tramutare il Green Pass in un “green caos”. La norma prevede che al controllo della carta verde vi sia il gestore dell’attività (ad esempio un bar o una palestra) o i suoi delegati. Ciò è previsto e il gestore-proprietario-delegato del negozio-luogo al chiuso non può sottrarsi. Tuttavia non si parla di controllo delle forze dell’ordine. Quindi, in teoria, potrebbe svilupparsi questa assurda condizione interpretativa: il gestore del locale, a cui è in capo il controllo, per tenersi buona la clientela, omette di chiedere il Green Pass. Arriva un controllo della polizia che chiede a campione il pass ai clienti, che rispondono, grossomodo: “voi non potete farlo, il dl 105 stabilisce che l’unico a chiedere il passa sia il gestore del locale. A voi, se me lo chiedete, debbo solo fornire le generalità per la mia identificazione”. L’agente, forse insolentito, non potrebbe che sottostare alla norma, andando perciò dal gestore del locale, chiedendogli se quella persona sia fornita di pass, per farsi rispondere “si”. Caso chiuso.
Aspettiamoci quindi una valanga di “no, a lei non devo far vedere il green pass” e le relative sanzioni che potranno essere tentate, con il relativo ricorso. Il titolare dell’attività, o un suo delegato, dovranno scaricare l’app per smartphone governativa “Verifica C19” e verificare all’ingresso del locale la carta verde dei clienti. Altra nota importante: è stato permesso al titolare/delegato del locale richiedere, assieme alla verifica del Green Pass in corso di validità, anche l’esibizione di un documento di identità, per la doppia verifica dei dati, come si legge altresì nelle indicazioni d’uso in schermata della app. Non tutti i lavoratori però potranno chiedere il green pass ai cittadini, soltanto coloro che verranno formalmente nominati dal datore di lavoro secondo l’art. 13 comma 3 del 17 giugno 2021. Quindi tutti possono scaricarsi l’app di verifica, ma se non sono nominati per iscritto dal datore di lavoro, possono controllarsi soltanto la loro stessa certificazione, non quella degli altri. Ciò che appare “surreale” è che l’addetto al controllo del green pass non ha alcun obbligo alla vaccinazione, sempre che non lavori nei settori ospedaliero, scolastico o universitario: l’importante è che anche lui/lei rispetti i tre requisiti previsti dalla normativa.
La maggior parte di noi tuttavia non saranno a conoscenza di questi meccanismi e si andranno a creare situazioni come questa: “Lei è vaccinato?” chiederà il cliente al controllore degli accessi, “No, ma ho il green pass” risponderà quello, “Me lo mostri” chiederà il primo, “Non sono tenuto a mostrarglielo” ribadirà il secondo, “Mi mostri allora la delega del suo datore di lavoro che le consente di effettuare la verifica del mio Green Pass!” insisterà il cliente, e così via. Ecco alcune situazioni che vedremo crearsi. Ci sono comunque altre dinamiche che occorre tenere presenti, in particolare, riguardo i rapporti tra lavoratore e datore di lavoro. Il datore di lavoro non può richiedere la vaccinazione ai suoi collaboratori ma nemmeno che essi facciano un tampone. Lo screening rimane su base volontaria. Lo stesso valga per il Green Pass, che può essere richiesto/esibito soltanto da chi ha la legittimazione a trattare i dati sanitari del lavoratore, ovverosia il medico del lavoro. Questi “vulnus” o “vizi di forma” sembrano essere una malcelata volontà di tirare avanti un paio di mesi, sperando che oltre il novanta percento della popolazione si vaccini (oggi è il settanta percento) e che la curva dei contagi si abbassi notevolmente. Al mese di ottobre l’ardua sentenza. Per ora si raccomanda calma. Calma e cautela.