Anche in un contesto come quello contemporaneo è utile e necessario riavere una “sinistra sociale” che sappia qualificare e rafforzare, sotto un profilo squisitamente politico, la spinta riformista partendo dalla rappresentanza dei ceti popolari. Una dimensione che per troppo tempo è stata trascurata.
Il contesto politico, sociale ed economico contemporaneo è destinato a cambiare profondamente dopo la terribile e devastante emergenza sanitaria che, purtroppo, non demorde ancora. Ce lo ricordano quotidianamente i numeri. Un cambiamento profondo che ha dato vita a nuovi stili di vita e a nuovi comportamenti. Personali e collettivi. Ma, soprattutto, ha contribuito, al di là delle ingenti risorse che arriveranno nei prossimi anni nel nostro paese, ad acuire le disuguaglianze sociali, ad incrementare le povertà creando, al contempo, nuovi contrasti sociali. Ed è proprio partendo da questi dati, crudi e senza veli, che il ritorno dell’ennesima e ben più drammatica “questione sociale” è destinata ad incrociarsi con la ristrutturazione del sistema politico italiano.
Certo, in un contesto del genere sarà difficile riproporre la ricetta populista grillina come soluzione miracolistica ai problemi che si affacciano di fronte alla nostra agenda. Una “questione sociale” molto diversa rispetto a quella di un passato, anche solo recente, ma comunque si tratta sempre dello stesso tema. Ovvero, di una crisi che produce e genera disuguaglianze tra i ceti – nella stagione ideologica si chiamavano classi” – sociali e che rischia, se non governata politicamente, di avere effetti ben più drammatici rispetto all’andamento di una normale società democratica.
E, come ovvio, si tratta di una dinamica che difficilmente può trovare risposte concrete e pertinenti – come già detto – nella riproposizione del populismo anti politico, qualunquista e demagogico, o nel massimalismo della sinistra e nè, tantomeno, in un liberismo tecnocratico e salottiero.
Ed è proprio su questo versante e in un contesto ancora ferito dal “nulla della politica” provocato dall’irruzione e dal dominio ideologico del populismo grillino e da quello a trazione salviniana, che si rende sempre più necessaria la presenza politica di una vera ed autentica “sinistra sociale”. Non una esperienza testimoniale o vagamente nostalgica, ma una “sinistra sociale” che sappia raccogliere le istanze e le domande, sempre più pressanti, che emergono dalla nostra società frammentata e segmentata. Nessuno mette in discussione, com’è ovvio, la concreta ed efficace azione del Governo Draghi ma, prima o poi, la cosiddetta “politica dei partiti” dovrà ritornare ad essere protagonista senza limitarsi ad appaltare ad altri il ruolo che le compete. Perchè occorrerà pur dire che in una situazione dove la politica non solo era in crisi ma a tratti anche impresentabile, non si poteva che chiedere aiuto a personaggi che, grazie alla loro levatura e alla loro autorevolezza nazionale ed europea, hanno saputo rialzare il prestigio del nostro paese dando risposte il più possibile consone con le aspettative concrete dei cittadini. Ma, come tutti sappiamo, le situazioni emergenziali prima o poi finiscono e lì è necessario essere attrezzati per non ricadere nell’errore appena denunciato.
E quando si parla di ristrutturare la geografia politica, al di là e al di fuori dei massimalismi e dei populismi di vario genere – presenti tanto sul versante della sinistra quanto su quello della destra – è di tutta evidenza che l’area politica di “centro” che sta poter decollare non può non avere al suo interno una forte e marcata sensibilità sociale e di governo. Una “sinistra sociale” di governo, appunto, che sappia interpretare bisogni e istanze per troppo tempo relegate ai margini. Al netto della solita propaganda demagogica e qualunquista. Abbiamo grandi esperienze che possiamo recuperare dal passato e che non possono essere banalmente e grottescamente archiviate come premoderne o antistoriche. Basti pensare, per fare un solo esempio, alla “sinistra sociale” di ispirazione cristiana che faceva capo, nella Dc, a Carlo Donat-Cattin per molto tempo e poi, in altre formazioni politiche, a quella di Franco Marini.
Una esperienza politica, culturale e istituzionale che ha saputo affrontare le “questioni sociali” che, di volta in volta, attraversavano il nostro paese con il loro carico di domande e di aspettative. Una “sinistra sociale” che sappia da un lato dispiegare un progetto politico all’interno di un partito e che, dall’altro, traduca questa ispirazione in concreti atti legislativi e parlamentari. Perchè la forza di uomini come Donat-Cattin o Marini non era solo quella di evocare la presenza indispensabile e decisiva di una “sinistra sociale” all’interno dei loro rispettivi partiti ma anche, e soprattutto, di farsi carico di quelle domande e di rappresentare, di conseguenza, autenticamente un pezzo di società. Ecco perchè, anche in un contesto come quello contemporaneo, è utile e necessario riavere una “sinistra sociale” che sappia qualificare e rafforzare, sotto un profilo squisitamente politico, la spinta riformista partendo dalla rappresentanza dei ceti popolari. Una dimensione che per troppo tempo è stata trascurata. Ora serve una profonda inversione di rotta.