Un sabato romano da dimenticare per i cultori del campo largo. A Piazza della Repubblica, la manifestazione dei Cinque Stelle è iniziata con l’equivoco dell’abbraccio tra Elly Schlein e Giuseppe Conte e si è conclusa ai Fori Imperiali con l’invettiva di Grillo contro gli aiuti militari all’Ucraina e per una mobilitazione dei giovani in chiave pseudo-welfarista e semi-anarchica (con accenni ambigui all’uso della violenza). C’è da dire che l’Elevato sa come rompere, al momento giusto, l’incantesimo di un Movimento che si vorrebbe emendato dall’infantilismo dei suoi dogmi. Insomma, poteva essere l’occasione per un aggiornamento della proposta politica dei pentastellati e invece, a riprova della immaturità e inaffidabilità della leadership, è prevalso l’istinto di conservazione o più ancora il ritorno alle acque materne dell’estremismo parolaio. Troppo anche per il Pd del nuovo corso, tant’è che pure il mite Guerini, sempre avaro di prese di posizione troppo nette, stavolta ha reagito con inusitata fermezza sul posizionamento dell’Italia nel conflitto russo-ucraino.
Su un altro versante, ovvero nell’area di centro, si è aperto invece uno spiraglio. Calenda, intervistato da Avvenire, ha fatto un passo avanti nel delineare i rapporti con i Popolari. Vale la pena riportare il passaggio in cui esplicita il criterio direttivo della nuova strategia dopo il (relativo) fallimento del “partito unico” con Italia Viva: “…è fallito un grande progetto politico – dice il leader di Azione – perché Renzi non lo voleva e ha preferito tenersi le mani libere. Ora riapriremo il cantiere con Emma Fattorini, Mara Carfagna, Maria Stella Gelmini, Matteo Richetti per coinvolgere il mondo popolare orfano di rappresentanza. Vogliamo creare una grande forza politica plurale in cui stiano insieme liberali, riformisti e popolari, culture politiche orfane sia nel PD sia a destra. Sono le tre culture politiche matrice dell’Europa e se non stanno insieme verranno messe in minoranza da sovranisti e populisti. Il problema è trovare i compagni di viaggio che non vogliano fare solo un cartello elettorale. Ma continuiamo a credere che dal centro si possa rifondare la politica”.
Indubbiamente, con questo fermo immagine, Calenda ridisegna una politica che a più riprese ha viaggiato sul doppio binario del programmismo e dell’integralismo, con la conseguenza di essere percepito come sognatore di un improbabile concepimento solitario della rifondazione “al centro” di un progetto innovativo. Resta sullo sfondo un’esigenza di chiarezza e di coerenza, perché l’apertura ai Popolari non si concilia con il corteggiamento degli ex radicali di Più Europa. C’è una sensibilità che orienta il cattolicesimo democratico, almeno nella versione confacente al recupero di autonomia nel solco della tradizione di Sturzo De Gasperi e Moro, ed essa consiste nel ripudio di una opzione per la quale l’alternativa al “partito radicale di massa” finisca per accartocciarsi nella logica di un “partito radicale di nicchia”. Su questo punto non ci sono sconti da esigere o accettare, ma semplicemente la constatazione di una impraticabilità di campo. Ben venga dunque l’apertura, a patto di farne la leva di un autentico processo di scavo e integrazione di valori impegnativi che laici e credenti, secondo una terminologia antica ma non per questo priva di mordente ancora oggi, dovrebbero o potrebbero assumere come cardini di un nuovo pensiero democratico.