“Questa vicenda romana – spiega l’autore – rappresentò per l’opinione pubblica e per i mezzi di comunicazione, non solo italiani, oltre alla drammaticità dell’accaduto, un richiamo al rispetto delle regole e alla prevenzione per coloro che trattano con materiale esplosivo, anche se nel corso di questo mezzo secolo gli incidenti sono diminuiti, ma ancora accadono nel periodo delle feste di fine anno”.
Il ricordo di una incredibile tragedia nella periferia romana al Prenestino di 50 anni fa, per il crollo di un palazzo a causa dello scoppio di fuochi di artificio, quando l’opinione pubblica seguiva le tristi vicende degli “anni di piombo”, ove le follie del terrorismo erano sempre in agguato e il Governo Andreotti era alle prese con i provvedimenti per proteggere gli obiettivi sensibili, oppure conoscere la conclusione delle trattative per il “cessate il fuoco e la pace” fra gli Stati Uniti con il Presidente Nixon e i due Vietnam (Nord e Sud), di una guerra iniziata nel 1964, è ancora presente in chi scrive questa nota.
Questa vicenda romana rappresentò per l’opinione pubblica e per i mezzi di comunicazione, non solo italiani, oltre alla drammaticità dell’accaduto, un richiamo al rispetto delle regole e alla prevenzione per coloro che trattano con materiale esplosivo, anche se nel corso di questo mezzo secolo gli incidenti sono diminuiti, ma ancora accadono nel periodo delle feste di fine anno.
Ma che cosa è successo, in questa drammatica vicenda di mezzo secolo fa?
Era la notte fra il 30 novembre e il 1 dicembre 1972, e nel quartiere Prenestino Labicano scoppia l’inferno. Improvvisamente, verso le 3,30 e le 3,45, un boato, causato da una esplosione di un deposito clandestino di fuochi d’artificio, nel seminterrato di una armeria, squarciava la quiete e il silenzio della notte. Un boato impressionante, udito a chilometri di distanza, in particolare nel quadrante est di Roma. Alla terribile esplosione, ne seguirono altre quattro di minore intensità. Nel palazzo di via Prenestina all’angolo di largo Telese, ove era localizzato il deposito abusivo dei “botti di Capodanno”, avviene la tragedia con morti e feriti: un grande incendio, il crollo e lo sventramento dei primi tre piani del palazzo investito dall’esplosione, mentre i cinque piani superiori rimasero miracolosamente in essere anche se pericolanti. Infatti gli abitanti dei piani superiori rimasero bloccati nelle loro abitazioni per la distruzione delle scale condominiali.
L’arrivo dei soccorsi fu immediato, dai vigili del fuoco, al personale sanitario con le autombulanze, alle forze dell’ordine e ai vigili urbani. Il grande lavoro per il soccorso per salvare le persone sotto le macerie, le scale mobili dei pompieri per far evacuare, con l’aiuto delle luci elettrogene, gli abitanti che stavano bloccati sui balconi di via Prenestina, le autoambulanze che facevano da navetta con gli Ospedali San Giovanni e al Policlinico dove venivano ricoverati i feriti dell’esplosione.
Lo sgomento, la paura, la curiosità, il voler capire che cosa era successo fra i cittadini della zona, la ricerca dei perché del “cataclisma”, vissuto in quella notte in tempo di pace, le ipotesi più fantasiose erano presenti, dallo scoppio della caldaia del riscaldamento condominiale a un attentato. Tantissime le persone che si sono radunate in via Prenestina di fronte al palazzo della tragedia e hanno assistito, in silenzio e con preoccupazione, alle operazioni di soccorso durante la notte. Le operazioni durarono oltre due ore e il bilancio di questo disastro si può riassumere con questi scarni e significativi numeri: 17 morti, tra i quali 5 bambini sotto i 4 anni, intere famiglie distrutte, tutte in giovane età. I feriti ricoverati nei due ospedali romani, per le cure e i controlli, circa 100 persone. A proposito dell’evacuazione del palazzo, un dirigente dei vigili del fuoco dichiarò al termine dello sgombero: ” E’ stato un salvataggio di massa, mai avvenuto con questo sistema, infatti le scale mobili arrivarono fino agli attici”.
Le responsabilità dell’accaduto, dopo brevi indagini della Polizia, sono state individuate nel titolare dell’armeria e della moglie, insieme a un cliente che aveva acquistato poche ore prima dell’accadimento migliaia di tric-trac e petardi dal commerciante, il magistrato ha disposto l’arresto immediato.
Oggi, a 50 anni da quella tragedia, che ha causato non solo morte e a distrutto famiglie, ma anche danni materiali e psicologici agli abitanti del palazzo, oltre a ricordi incancellabili di quella notte, cosa rimane? Un palazzo in via Prenestina, che per i danni poteva essere paragonato a un palazzo bombardato il 19 luglio 1943, giorno del primo bombardamento su Roma. Oppure, ai giorni nostri, ad una abitazione di una città dell’Ucraina, che dal 22 febbraio scorso subisce attacchi missilistici.
Qualcosa, forse si può ancora fare, per non lasciare solo il ricordo a coloro che hanno subito il trauma di questa drammatica vicenda urbana. Non dovrebbe essere difficile ricordare l’accaduto con una targa o una lapide ricordo alla memoria, nel luogo in cui è avvenuta questa tragedia.
La memoria si può onorare anche in questa maniera.