Accade a Roma: morte in cenere e un’urna dimenticata.

La pratica del versamento delle ceneri, di romantica suggestione tra i parenti di un caro estinto, magari ispirandosi ad un luogo amato da quest’ultimo, presenta anche un potenziale risvolto di inquietudine.

Qualcosa ha covato sotto la cenere. Questo il sospetto della Polizia Locale di Roma Capitale che dal cartellino identificativo di un’urna cineraria abbandonata vicino ad un cassonetto di rifiuti sono risaliti alla famiglia del defunto. La vicenda mostra qualche punto critico non tanto nella ricostruzione dei fatti quanto nella sciatteria che li hanno distinti.
Una donna decide un ripulisti dentro casa dopo la morte della madre. Si parte dall’alto verso il basso, dagli scatoloni e altre varie cianfrusaglie trovate in soffitta a scendere fin verso i piani nobili, lasciandoli poi per strada nel punto di raccolta dei rifiuti.
Avrebbe quindi messo l’urna dentro uno scatolone senza indagare sul contenuto, malgrado la matrice a corredo che avrebbe dovuto suscitare curiosità.
Forse l’urna era già in origine nell’involucro, la cosa non fa molta differenza; comunque non ha provocato comunque alcuna azione di verifica; lasciata lì, trascurando di riconoscerne la forma e ancor più il contenuto.

Nulla in ogni caso che, durante le operazioni di riassetto e di riordino della casa, abbia, in simultanea, scosso la memoria della donna circa la sorte delle ceneri del padre morto anni addietro.
Per quanto si comprende, il pacco di cartone ha mosso invece l’attenzione di un passante che, alla sua vista, avrebbe tirato fuori l’urna dall’approssimativo imballaggio per metterlo in evidenza in modo da darle sorte migliore.
“Alle incolpate ceneri nessuno insulterà”, alla incolpata custode delle ceneri è seguita invece una denuncia per “dispersione di ceneri non autorizzata” anche se nel loro destino, al giorno d’oggi, sembra fatale un esito di volatilità.
Ci sono posti della casa dove si tiene ciò che non si usa più e che non si ha il coraggio di gettare una volta per tutte. Probabile si ripongano lì proprio per conservarle al meglio o per non averle più sotto al naso.

La soffitta è la stanza posta sotto al tetto, sub ficta, che può dare anche il senso di una falsità da nascondere sotto il timore che venga a galla l’indifferenza per ciò che ormai è superato, anche se la cenere con altre misture può essere destinata addirittura per affinare oro e argento.
“Quelli di dentro vedendo la mala parata scapparono in soffitta”, noterebbe Manzoni. Sarà forse per questo che, quando ancora in vita, la moglie del defunto, diffidando della superficialità del mondo, abbia deciso di nascondere il recipiente in un posto sicuro, ignoto persino agli altri familiari. Di loro ne avrebbe preconizzato lo scarso trasporto per quel recipiente. Del resto, recipiente sta per ricevere qualcosa, l’opposto di abbandono o trascuratezza.

È possibile che in omaggio al sentimento del grande amore tra i protagonisti della vicenda, lo stesso defunto si sarebbe deciso di optare al tempo per la cremazione.
“Se troverà un mucchietto di cenere dirà: “Per me si è consumato”! Sarà stata questa l’ultima volontà dell’uomo ricco d’amore per la propria consorte.
Ci sono urne di ogni tipo e fattura, a doppio tronco di cono, a capanna, a cassetta, di terracotta, di tufo di marmo e chi più ne ha più ne metta. Il piccolo orcio oggetto di cronaca deve aver avuto però una forma anonima per non richiamare l’immediata attenzione di chi fosse capitata a tiro.
La pratica del versamento delle ceneri, così oggi in voga e di romantica suggestione tra i parenti di un caro estinto, magari ispirandosi ad un luogo amato da quest’ultimo, presenta anche un potenziale risvolto di inquietudine.

Dispersione vuol dire tante cose. Stando al vocabolario suona come rovinare, dissipare, mandare in malora, cacciare in varie direzioni, disseminare qua e là.
Nulla che dia, almeno di primo acchito, il senso di un conforto che sostenga la conferma circa l’identità di un ricordo compatto del “disperso”.
Lanciando al vento o per mare le ceneri si potrebbe correre simbolicamente il rischio di disperderne la forza di una memoria da sigillare per mantenerne l’unità e la solidità.
Potrebbe incombere inavvertitamente il pericolo di sparpagliarne o annacquarne l’idea di ciò che sono stati. Conservare potrebbe forse aiutare a non cadere nel precipizio di un legame con raccordi sempre più sfumati.

Peggio, nella versione malvagia, potrebbe sottendere l’intenzione di buttarne all’aria, incenerirne ogni ricordo, non essendo quest’ultimo in alcun modo gradito. Dirsi, insomma, risolutivamente, che ormai sono andati e non ci sono più. Cremare non corrisponde sempre ed automaticamente ad un ardere per passione.
Non a caso nei cimiteri è oggi un’area apposita, di solito il giardino delle rimembranze, dove è prevista la dispersione delle ceneri nel tentativo di accoglierle su una parte di terra ben delimitata, in uno spazio definito dove concentrare i sentimenti, dove la preghiera è immediatamente provocata, dove non passi davanti alla morte insieme a mille altri oggetti di casa buoni per l’arredamento.

Può accadere che le ceneri siano affidate ad uno spargimento figlio di iniziali suggestioni ed emotività che potrebbero conoscere, in ipotesi, futuri ripensamenti o rimpianti per l’ormai compiuto, se non anche diatribe tra i familiari. A volte si ottempera semplicemente alla volontà e alle disposizioni del defunto che vanno del tutto rispettate.
Quanto al fatto di cronaca colpisce la distrazione su dove e come siano state riposti i resti di un defunto.
Sembra di essere di fronte ad un fatto che, per tutta onestà, potrebbe riguardare chiunque ne abbia avuto occasione di lettura sui giornali.
Una parola non corsa per tempo, una raccomandazione mancata, la morte che coglie il solo che sappia di una urna conservata in un angolo sperduto di casa è un pericolo a cui tutti sono esposti.
La morte può ingenerare un difetto di comunicazione, un silenzio che mette prima in sordina e poi in dimenticatoio anche l’urna di un parente.
Di sottofondo la minaccia costante di una mancanza di tensione che si traduce nel desiderio di lasciarsi quanto prima la morte alle spalle, far fuori lo sgombrabile, cancellare almeno le tracce visibili di un dolore che ti ha segnato. Nell’impeto, anche inavvertitamente, si getta via il corpo in polvere di un morto.

In materia non si deve generalizzare e non ci sono regole che valgano per tutti. Ciascuno ha una propria sensibilità che si esprime in scelte conformi al proprio approccio alla morte.
Per tutti resta fermo come quella specie di ampolla non sia la lampada di Aladino, che allo strofinio consente di avere un genio a disposizione pronto ad esaudire i desideri.
È solo un vaso con dentro le ceneri di un cadavere. Quanto basta perché oltre a un ripostiglio in ogni casa, di buon auspicio, corra sempre senza risparmio la parola. Non c’è fuoco che possa bruciarla.