Una credibile alternativa alla destra esige realismo politico e visione ideale

Continuiamo a credere che serva all’Italia il ritorno in campo della cultura del popolarismo, ispirata ai principi della dottrina sociale cristiana e votata a difendere e attuare integralmente la Costituzione.

Impegnati a concorrere alla costruzione di un’alternativa credibile al governo della destra nel nostro Paese, è necessario partire dai dati concreti della realtà effettuale, per non cadere in velleità ideologiche senza riscontro nei fatti.
In questi giorni l’ultima valutazione del rating ha visto Moody’s confermare la sostanziale stabilità dell’Italia e un aumento dell’outlook, dimostrazione di un giudizio positivo dei poteri finanziari sulle scelte moderate del ministro Giorgetti, in attesa di ciò che potrà accadere a breve in merito al voto sul Mes, cartina di tornasole non più rinviabile dei rapporti tra governo Meloni e Unione Europea.

Se con il giudizio di Moody’s il governo può cantare legittimamente vittoria, molto diversa è la concreta realtà sociale ed economica del Paese.
Il recente rapporto della Caritas stima la povertà assoluta dell’Italia vicina al 10%, più di due milio di famiglie, con oltre un milione di giovani in una condizione di precarietà destinata a essere ereditata tra le generazioni. Scrive infatti il rapporto della Caritas: “Quasi il 45% di nuovi poveri nei centri Caritas. Uno su cinque tra gli assistiti, cresciuti del 12% in un anno, ha un lavoro. Continua lo scandalo di 1,3 milioni di minori in povertà educativa; aumentano poveri assoluti a quota 5,6 milioni; in 14 a rischio’”. Siamo al triplo rispetto a quindici anni fa. Da fenomeno “residuale” a fenomeno “ strutturale”.

A questa situazione si può porre rimedio soltanto con una politica orientata alla crescita economica che reclamerebbe, però, una politica fiscale e industriale o carente, come nel caso della seconda, o, addirittura rovesciata nei fini, per quanto attiene alla politica fiscale.
Ho più volte evidenziato che ogni politica di riforme serie in Italia e in Europa è difficile da attuare se non si supera la condizione di subordinazione dell’economia reale e della stessa politica alla finanza di un turbo capitalismo, che ha rovesciato i principi essenziale del NOMA (Non Overlapping Magisteria) di cui ha scritto pagine encomiabili il prof. Zamagni.
Ciò comporterebbe per l’Italia l’immediato ritorno alla legge bancaria del 1936, che stabiliva la netta separazione tra banche di prestito e banche di speculazione finanziaria. Una legge nata dopo la crisi del 1929, a imitazione di quella USA, Glass-Steagall, su iniziativa di Beneduce e conservata dalla Banca d’Italia guidata da Guido Carli sino all’infausto Decreto Amato-Ciampi che ha determinato l’attuale situazione.

La questione fiscale italiana è rappresentata dagli ultimi dati che vedono redditi dichiarati dal solo 44% e con il 14% (per lo più lavoratori e pensionati) che sostengono il carico prevalente Irpef nel nostro Paese. il 44 per cento dei contribuenti paga oltre il 92 per cento dell’imposta, con un gettito complessivo pari a 175,17 miliardi di euro nel 2021. Il restante 56 per cento contribuisce al gettito fiscale per il 7,38 per cento.
Una condizione, che nel Paese dei nostri cugini francesi riempirebbe le piazze di protesta, in Italia sollecita, invece, uno dei vice presidenti del consiglio a prendersela con i sindacati Cgil e Uil, ricevendo come risposta, quella di uno striscione dei manifestanti a Padova: “Salvini invece di precettare vai a lavorare”.

Questo scempio a ogni ragionevole condizione di rispetto dell’art 53 della Costituzione (Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività) deve essere superato, mentre il governo della Meloni continua a strizzare gli occhi agli evasori, con provvedimenti tesi a lisciare loro il pelo, alla ricerca di un facile consenso elettorale.
Sarà la situazione sociale ed economico fiscale concreta del Paese a creare le condizioni di una crisi, che si riverbererà sul piano politico istituzionale, per il venire meno di quell’equilibrio di interessi e di valori che sta alla base della tenuta del sistema. Ecco perché continuiamo a credere che serva all’Italia il ritorno in campo della cultura del popolarismo, ispirata ai principi della dottrina sociale cristiana e votata a difendere e attuare integralmente la Costituzione repubblicana. Insomma, è indispensabile batterci tutti insieme per la ricomposizione politica della nostra area. Altro che le deformazioni costituzionali indicate dalla Meloni, contro le quali dobbiamo mettere in campo subito il comitato dei Popolari per il NO.