Aggiornamenti Sociali | Un approccio critico alla questione della meritocrazia.

Chi stabilisce che cosa è meritorio e in che modo valutarlo? Di seguito la parte finale dell’editoriale, firmato dal direttore, che appare sul numero di aprile della rivista mensile dei gesuiti milanesi.

Il riferimento al merito presuppone l’individuazione di criteri che permettano di definirlo e valutarlo. Interrogarsi sui criteri impiegati è allora parte integrante di qualsiasi ragionamento al riguardo. Chi stabilisce che cosa è meritorio e in che modo valutarlo? Chi è il soggetto a cui compete riconoscere il merito e con quali criteri? Queste domande dischiudono la necessità di legare la riflessione sul merito a quella più ampia del senso del vivere in società e alla visione antropologica sottostante. In effetti, il giudizio positivo nei riguardi di certi percorsi o del possedere determinate competenze è soggetto all’evoluzione dei tempi: ciò che è riconosciuto come meritevole è variabile.

Oggi la comprensione largamente prevalente del merito è debitrice della cultura individualista e di quello che l’enciclica Laudato si’ chiama «paradigma tecnocratico», che frammenta la società e si focalizza sulle potenzialità della tecnica senza curarsi appieno dei risvolti etici. Le narrazioni che riscuotono maggiori consensi, nei media ma anche nel discorso politico, accendono i riflettori sull’individuo che emerge a dispetto di tutto e di tutti, come un eroe o un’eroina in solitaria, capace di sovvertire il fato avverso. Per dare più forza a queste storie esemplari si finisce per porre in secondo piano l’apporto ricevuto da altri, come le istituzioni, la società civile, le reti di cui si fa parte, che invece costituiscono una trama vitale per qualunque percorso di crescita personale.

Proprio come è riduttivo leggere il successo di un singolo come frutto esclusivo del suo merito, ignorando il ruolo giocato dalla società nel suo insieme, così sono profondamente ingiuste quelle narrazioni che attribuiscono la responsabilità dei “fallimenti”, personali o di interi territori, unicamente a quanti vi sono direttamente coinvolti. In questo modo assolvono dalle proprie responsabilità coloro che, secondo il dettato costituzionale, avrebbero il compito di promuovere il bene comune, che comprende l’accesso a pari opportunità per tutti i cittadini. Richiamare che “non si riesce da soli”, ma che c’è uno stretto legame tra l’itinerario personale e il contesto in cui si vive, può essere un antidoto sia contro una comprensione riduttiva ed escludente del merito, sia contro un atteggiamento di resa politica e sociale di fronte a quelle disuguaglianze che la nostra Repubblica, secondo il dettato costituzionale, ha il compito di rimuovere per favorire «il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3, c. 2 Cost.).

 

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