Inchinarsi di fronte a una bella manifestazione di democrazia, come le primarie del Pd sono apparse domenica, non significa nascondere al dibattito pubblico il tema di un “nuovo centro democratico”. Sotto questo aspetto l’investitura del popolo dei gazebo fa di Zingaretti un leader che trova la sua forza e la sua debolezza nel confronto attorno a una questione più ampia di quanto il Pd, oggi e domani, possa rappresentare. Il giornale dei Vescovi, l’Avvenire, ha commentato sobriamente l’evento, senza pregiudizi e riserve, ma ponendo l’accento sulla necessità di un “quarto polo” (dopo i tre della “sinistra sinistra” della “destra destra” e del M5S) capace di accogliere e valorizzare la partecipazione di molti cattolici.
Zingaretti è chiamato a riordinare la sinistra. Di questo compito sente del resto il peso e la responsabilità, pur conservando quell’attenzione ai moderati – categoria comunque sempre angusta – di cui anche il Pd, al proprio interno, dovrebbe avvalersi. Nell’intervista concessa al “Corriere della Sera”, proprio alla vigilia delle primarie, esprimeva disponibilità e interesse verso una futura alleanza con quella parte di elettorato che, senza preconcetta ostilità, resta fuori dal perimetro corrispondente all’attuale esperienza del Pd. In sostanza, la vocazione maggioritaria finisce mestamente in archivio, per un esplicito rilancio della politica delle alleanze.
Ora, alla luce del nuovo corso del Nazareno, si tratta di focalizzare l’oggetto di tale riordino del sistema politico, precisamente sul lato dell’opposizione al sovran-populismo. Quanto più il centro si fa piccolo nella mente degli sherpa neo-togliattiani, quasi perciò a ridurne la configurazione a protesi della sinistra, tanto più diventa un esercizio di generale frustrazione. La modestia di cognizione corrisponde alla sua fatale inutilità.
Il centro per esistere ha bisogno invece di grandezza, quanto a motivazioni sensibilità e slancio. Di fatto non vive all’ombra di un geroglifico di astuzia elettoralistica, per agguantare cioè un aliquota di elettorato indeciso. Il centro è una sfida, anche a sinistra, perché si nutre (o deve nutrirsi) di un ideale democratico superiore. Non nel senso di una presunzione fantastica, rigonfia di gloria passata e visioni autoreferenziali, bensì nel segno della fatica che nasce dal “fare sintesi” oltre la denuncia e la rabbia, oltre la dialettica negativa dell’antagonismo a sfondo settario, oltre il riduzionismo dell’uomo e della società a una dimensione.
Il centro può nascere ora, con ricchezza di idee e generosità di propositi, se solo s’intenda la domanda inevasa di rappresentanza, che avvolge un sistema di “mondi vitali” disancorato dalla politica e ciò nondimeno desideroso di nuova politica. Ci sono segni di attesa ai quali occorre rivolgere l’occhio. Nulla è scontato. Un’aspirazione, ancorché diffusa e robusta, fa presto a scemare nel vuoto dell’insipienza e del piagnisteo. Eppure, nemmeno è scontato che resti in sospeso, secondo il pessimismo degli attori più consumati, la voglia di rigenerare una buona proposta politica. Tutto dipende, alle volte, da uno scatto di orgoglio e dal fortuito incrocio di ”virtù e fortuna”(Macchiavelli). Anche i cristiani debbono leggere o rileggere il Fiorentino, più profeta che cinico manipolatore, in tempi di irrazionale e colpevole debilitazione della politica.