L’eredità di Moro e l’attualità del dialogo
Non posso nascondere che Aldo Moro, con il suo comportamento e con i suoi pacati insegnamenti, ha fatto costantemente compagnia alle mie valutazioni politiche e all’interpretazione della democrazia moderna. Ho sempre fatto mio, in particolare, un suo passaggio lungimirante e profetico, esternato a Benevento nel corso di uno degli ultimi suoi discorsi. Parole, per quei tempi, scandalose, che ho fuso e messe insieme a un paio di espressioni e metafore più recenti di Papa Francesco.
Sono però certo che Giorgia Meloni ed Elly Schlein ignorino quanto sto per dire.
Aldo Moro non credeva alla distinzione, guerrafondaia e filonazista, fra amici e nemici. Era incredulo sugli inevitabili conflitti fra supposti diversi. Anticipando di moltissimi anni la filosofia dell’incontro e del dialogo che respira la “Rete di Trieste”, credeva di più in una sana – seppur complessa – dialettica costruttiva. Ed era convinto che il confronto e il parlarsi fra le diversità politiche e fra gli stessi opposti – nel suo contesto, fra democristiani e comunisti – portassero a un fecondo e utile scambio di valori, benefico ad entrambi i partiti oltre che al bene comune di tutto il Paese: “…quale che sia la posizione nella quale ci si confronta, qualche cosa rimane di noi negli altri, e degli altri da noi…” (Benevento, 18 novembre 1977).
Il magistero di Papa Francesco
Papa Francesco, ricorrendo spesso all’espressione “costruire ponti e non muri” e ricordandoci di non dimenticare mai che alla fine siamo Fratelli tutti, ha anche frequentemente avvertito che il particolare momento storico che viviamo ci deve trovare tutti e inevitabilmente “…sulla stessa barca”.
Moniti fondamentali che sollecitano sforzi comuni tesi all’inclusione, alla collaborazione e all’incontro con tutto ciò che ci sembra lontano e diverso. Bergoglio mette da parte le separazioni, gli odi e le identità chiuse, specie quelle di razza. E scarta, mi viene da pensare, anche quei sovranismi patriottici autonomi, sino agli stessi “exit” da isolamento, che hanno fatto ridere tutta quell’Europa che sogniamo unita politicamente e federata.
Valori cristiani e rivoluzione politica
A queste sollecitazioni – due fondamentali valori cristiani, eguaglianza e fraternità, traslocati nella democrazia politica moderna – si aggiunge la lezione della Rivoluzione francese, che coniugava libertà, eguaglianza e fraternità.
Un gruppo di studiosi, politologi e sociologi, mi ha spinto a riflettere su tre punti che spesso ho annotato nei miei appunti controcorrente su questo blog plurale.
Tre riflessioni controcorrente
La prima: i profondi mutamenti che viviamo necessitano una seria ritaratura delle storiche categorie di Destra e Sinistra. A cui si deve aggiungere quel Centro politico tanto atteso e desiderato ancora oggi, specie da una certa élite cattolica con seguito sociale ridotto e disperso. Tutto questo mi ha spinto a valutare di buon occhio un bipolarismo maggioritario – se non un bipartitismo – tanto detestato in nome di un sacrosanto pluralismo. Ma oggi il pluralismo è finto, perché appoggiato sul solo volto del leader, su partiti e partitini personali, non su valori di fondo realmente condivisi.
La seconda: occorre mettere da parte – altro scandalo – comunismo e fascismo, collocandoli nelle mani di piccoli gruppi nostalgici. Restano vivi, caso mai, solo nei comportamenti e nel linguaggio, come aveva previsto per il fascismo Umberto Eco col suo Ur-Fascismo, ma non più nelle istituzioni.
La terza: è necessario valutare bene la china che ha preso la società, segnata dal rimescolamento delle classi sociali, dalla ridefinizione del lavoro, dalla scomparsa della classe operaia e dei ceti medi, e dal silenzioso avvento di un neo-capitalismo geopolitico digitale e finanziario, tutto gestito “da remoto” e nelle sole mani dell’1% dei super-ricchi del mondo.
Le sfide del futuro
Se queste sono le sfide che abbiamo davanti – il cambiamento climatico incontrollato, i robot e il digitale che affondano l’operaio di una volta, le povertà in aumento che alimentano migrazioni e spostamenti di massa (forse provvidenziali, con il calo delle nascite), il risveglio tragico di imperi e di proprietà territoriali, le nuove tirannie che circolano sotto il velo di democrazie apparenti – allora il parlarsi e il dialogare fra supposti diversi, l’incontrarsi fra lontani per trovare insieme le migliori soluzioni, non appartiene tanto e solo all’utopia cristiana del “siamo tutti fratelli”.
È piuttosto il buon senso e la ragionevolezza che devono guidarci nella società di oggi e nei tempi che verranno. Se non siamo nostalgici o ubriachi del passato, dobbiamo scrutare con attenzione il futuro, soprattutto quello che attende i nostri figli e nipoti.