L’improvvisa fine della vita terrena dell’economista Alberto Alesina ha riacceso la discussione sulle sue tesi. Si ricordano la sua apologia dell’austerità, il suo sostegno post litteram all’Euro. Le sue opinioni al proposito non lasciano spazio ad equivoci. Alesina però fu anche un grande critico della moneta unica negli anni in cui essa veniva costruita. In particolare gli argomenti che Egli espresse in un editoriale sul Corriere della Sera del 15 dicembre 1997 dal titolo “I quattro grandi bluff dell’unione monetaria” lasciano, riletti adesso, sbalorditi per profondità d’analisi e lungimiranza. Sia chiaro, il ricordare una precisa fase del Suo pensiero, non significa in alcun modo provare a coinvolgerLo in cause a Lui estranee, ma solo attingere a dei frutti del Suo ingegno di economista, per capire meglio il nostro presente.
Nel suddetto editoriale Alesina smonta una ad una le ragioni addotte in favore della moneta unica, in un dibattito in quegli anni a senso unico al posto “di una pacata discussione sui costi dell’Unione monetaria”. E le previsioni contenute nelle sue quattro critiche, ahinoi, a distanza di 23 anni si sono rivelate tutte vere con incredibile precisione.
Se la sua prima critica, non serve un’unione monetaria per il mercato comune europeo, può apparire addirittura ovvia, essa fa da sfondo alle successive.
Alla campagna di stampa allora orchestrata contro i cambi flessibili come ostacolo al commercio, Alesina ribatte, controcorrente, con la sua seconda critica che “Non esiste alcuna evidenza che la flessibilità dei tassi di cambio riduca la crescita del commercio internazionale”.
Dopo aver liquidato come una stupidaggine l’argomento che la moneta unica fa risparmiare le spese di cambio fra le valute, perché ciò non ha “alcun significato macroeconomico”, Alesina aggredisce la sostanza della questione. Con i cambi fissi, richiesti da quello che sarebbe stato chiamato Euro, “qualcosa deve essere mobile e flessibile: o i salari monetari, o la forza lavoro o i tassi di cambio”. Da qui la Sua previsione, purtroppo confermata, guardando ai dati pre-covid, che “l’Unione monetaria che fissa i tassi di cambio rende l’aggiustamento agli choc molto difficile e renderà la disoccupazione ancora più permanente”.
Al parametro del rapporto deficit/Pil inferiore al 3 %, Alesina riserva la sua terza critica: considerare come un beneficio per l’Italia l’avere tale rapporto “del 3% del Pil invece che del 5% del Pil nel 1998 fa sorridere, soprattutto al di là delle Alpi. Un nuovo sistema di cambio che dovrebbe durare per decenni va giudicato per i suoi meriti intrinseci e globali”.
Infine, in un crescendo Alesina assesta la quarta e decisiva critica all’Unione monetaria europea, mettendo in discussione il fatto che essa costituisca “un passo verso la vera meta che è una forma di unione politica”. Senza esitazioni afferma che “La realtà però è l’opposto. Con ogni probabilità i contrasti tra Paesi europei aumenteranno al crescere della tendenza a coordinare politiche monetarie, fiscali, di welfare eccetera. Costringere Paesi con culture e tradizioni diverse ad uniformare politiche di vario genere, soprattutto quando la necessità economica del coordinamento è alquanto dubbia, è un’operazione inutile e potenzialmente molto pericolosa”. Purtroppo un’altra previsione azzeccatissima: l’Euro si è rivelato un fattore di aumento delle divergenze fra i Paesi e i ceti sociali e il rimedio delle politiche di austerità per ridurre tale divario, si è dimostrato peggiore del male. I blocchi da virus hanno poi impresso un’accelerazione inattesa e improvvisa al processo di deterioramento sociale ed economico nell’Eurozona dovuto principalmente a politiche macroeconomiche errate e miopi, antitetiche all’auspicabile e urgente traguardo dell’unità politica europea. Ormai resta poco tempo in Europa per evitare che i pericoli indicati quasi 23 anni fa in uno straordinario editoriale di Alberto Alesina, si materializzino in modo irreparabile. Comunque la si pensi, anche di questo Gli dobbiamo essere grati.