Alleanze politiche o sommatoria di sigle?

Da molti anni si declina il proprio progetto politico in virtù di una  pregiudiziale politica e anche personale contro qualcuno o qualcosa.

Quando la politica è in crisi, anzi in forte crisi, anche il capitolo delle alleanze entra in un tunnel  sempre più oscuro. Ne è prova tangibile il dibattito nell’area alternativa al centro destra per  rendersene conto. A giorni alterni, infatti, il centro sinistra parla di alleanza “organica e strutturale”  con il partito di Grillo oppure di semplice “dialogo”, almeno stando alle ultime dichiarazioni del  capo del Pd Letta.

E questo perchè le alleanze sono, purtroppo, il frutto di convenienze del  momento, dettate dall’opportunismo e dalla voglia di stare al governo. Ne sono prova gli  accadimenti concreti, e non quelli predicati nelle assemblee o scritti nei documenti ufficiali, che si  sono verificati uni questi ultimi anni. Governi che si sono fatti con partiti con cui sino al giorno  prima ci si è insultati reciprocamente oppure, per dirla con Zingaretti, dopo aver pronunciato  solenni giuramenti nelle sedi di partito con il fatidico “mai e poi ancora mai con i 5 stelle”. Come  ovvio, tutte battute al vento prive di qualsiasi coerenza politica e lungimiranza progettuale. E oggi  non è cambiato nulla.

Anzi. Le coalizioni non sono più il frutto e la conseguenza di una strategia  politica, di un progetto di governo ma, molto più semplicemente, la sommatoria di chi è “contro  qualcuno”. Per la verità, non si tratta di una grande novità nel panorama politico italiano dopo la  lunga stagione della prima repubblica e dopo quella, meno intensa ma comunque carica di  aspettative e di attese, dell’Ulivo.

Da molti anni si declina il proprio progetto politico in virtù di una  pregiudiziale politica e anche personale contro qualcuno o qualcosa. La lunga stagione  dell’antiberlusconismo lo conferma in modo persin plateale. Antiberlusconismo che, per ragioni  generazionali, oggi è stato sostituito dall’antisalvinismo. Ma la storia non cambia granchè perchè  sempre di “anti” si caratterizza. Ma, al contempo, è del tutto evidente che una alleanza politica,  culturale e soprattutto programmatica e di governo difficilmente decolla con queste premesse. E  la controprova ce l’abbiamo concretamente con le alleanze che si andranno a formare nelle grandi  città che andranno al voto nel prossimo autunno. È appena sufficiente prendere atto di ciò che  avviene nelle due grandi città in cui governano i 5 stelle – Roma e Torino – per rendersene conto.  Da quelle parti si registra che l’indicazione che arriva dal vertice dei due partiti – e cioè alleanze  per battere la destra, sempre sovversiva e sovranista…- stenta a tradursi in realtà.

E questo per  una molteplicità di motivi. Ma, su tutte, c’è una ragione di fondo. Ovvero, non sempre le  operazioni trasformistiche che partono dal livello nazionale decollano tranquillamente anche a  livello periferico. Il caso di Torino, al riguardo, è emblematico. Dopo 5 lunghi anni di governo  locale in cui i due partiti se le sono date di santa ragione, come è possibile tranquillamente dar  vita ad una alleanza “organica e strutturale” già sin dal primo turno come vorrebbe il vertice  nazionale del Pd? Come è possibile dimenticare in un battito d’ali tutto ciò che ha caratterizzato  una lunga stagione amministrativa che, tra l’altro, è stata anche una severa e trasparente  contrapposizione politica? Ecco perchè, partendo proprio dalle realtà locali più significative,  costruire alleanze a tavolino è più difficile del previsto quando non vi sono evidenti ragioni  politiche, culturali e programmatiche omogenee tra i partiti se non la comune avversità nei  confronti degli avversari – che in questo caso sono anche autentici “nemici” – e quindi per un puro  disegno di potere. 

In sintesi, si tratta di capire se si vuol dar vita ad alleanze politiche frutto di una comune cultura di  governo e, soprattutto di un progetto di governo oppure, al contrario, se ci troviamo di fronte ad  una semplice operazione da pallottoliere dove, di fatto, conta esclusivamente la sommatoria dei  partiti da mettere insieme per tentare di vincere le elezioni. A livello nazionale come a livello locale.  È su questo versante, del resto, che si gioca la credibilità dei partiti e soprattutto di chi li guida.  Perchè mai come in questi momenti, dopo una stagione dominata dal trasformismo e  dall’opportunismo, è necessario ed indispensabile ridare linfa e una nuova veste alla politica. Lo  diceva in un’altra epoca storica un grande storico cattolico democratico, Pietro Scoppola,  sostenendo che un politico è credibile quando riesce ad unire nella sua azione concreta e  quotidiana “la cultura del comportamento con la cultura del progetto”. 

Ecco, in queste parole è racchiusa anche la distinzione tra costruire una alleanza politica e di  governo che si confronta con gli avversari per vincere le elezioni oppure dar vita ad un semplice  pallottoliere per evitare che altri vincano ma senza alcun profilo politico se non quello di  conservare il più a lungo possibile il potere.