Altri morti a Lampedusa, come sempre la poesia ne sostiene il grido.

È la sola capace - la poesia - di scuotere dal torpore delle cose solite. Al ripetersi delle tragedie in mare e sulle coste, facciamo memoria di come almeno i versi possano aiutarci a non incespicare.

Con uno di quei barchini della fortuna o della mala sorte hanno tentato in 41 di giungere a Lampedusa. Uno più dei 40 ladroni, pronti a rubare la vita che gli spetta. Un’onda li ha ribaltati, si sono salvati solo in 4. Onda ha la sua radice sanscrita in “Ud” che rimanda al bagnato e quindi alla fecondità, questa volta solo di morte. Lì dove la cronaca non basta per dire di certi fatti, soccorre come sempre la poesia, la sola capace di scuotere dal torpore delle cose solite.

 

Nei versi di “Gli emigranti” di Edmondo De Amicis si leggono passi sempre attuali:

 

Cogli occhi spenti, con le guancie cave,

Pallidi, in atto addolorato e grave,

Sorreggendo le donne affrante e smorte,

Ascendono la nave

Come s’ascende il palco de la morte.

 

E ognun sul petto trepido si serra

Tutto quel che possiede su la terra,

Altri un misero involto, altri un patito

Bimbo, che gli s’afferra

Al collo, dalle immense acque atterrito.

 

Salgono in lunga fila, umili e muti,…

 

Ammonticchiati là come giumenti

Sulla gelida prua morsa dai venti,

Migrano a terre inospiti e lontane;

Laceri e macilenti,

Varcano i mari per cercar del pane.

 

Traditi da un mercante menzognero,

Vanno, oggetto di scherno allo straniero,

Bestie da soma, dispregiati iloti,

Carne da cimitero,

Vanno a campar d’angoscia in lidi ignoti.

Vanno, ignari di tutto, ove li porta

La fame, in terre ove altra gente è morta;

Come il pezzente cieco o vagabondo

Erra di porta in porta,

 

Essi così vanno di mondo in mondo…

 

Pur nell’angoscia di quell’ultim’ora

Il suol che li rifiuta amano ancora;

L’amano ancora il maledetto suolo

Che i figli suoi divora,

 

Dove sudano mille e campa un solo…

 

Gianni Rodari con maggiore leggerezza e uguale profondità ne “La camicia dell’emigrante” scrive:

 

Non è grossa, non è pesante

la valigia dell’emigrante…

 

C’è un po’ di terra del mio villaggio,

per non restare solo in viaggio…

 

Ma il cuore no, non l’ho portato:

nella valigia non c’è entrato.

Troppa pena aveva a partire,

oltre il mare non vuol venire.

Lui resta, fedele come un cane,

nella terra che non mi dà pane…

 

È a quel cuore e a quei sentimenti che si riferisce l’intenso Franco Costabile, poeta calabrese quando segna, per quella gente della sua terra in viaggio verso il Nord Italia, meta di nuova speranza:

 

Ce ne andiamo

con dieci centimetri

di terra secca sotto le scarpe

con mani dure con rabbia con niente…

 

Dai paesi

più vecchi più stanchi

in cima

al levante delle disgrazie…

 

Noi

vivi

e battezzati

dannati…

 

Noi

morti

ce ne andiamo

in piedi

sulla carretta…

 

Addio

terra.

Salutiamoci,

è ora.

 

È ancora Costabile a mettere su carta una poesia, “Avanzi di ossa” che sembra, in maniera impressionante, scritta per l’oggi e che merita di essere letta per intero:

 

Avanzi di ossa

corrose dal sale

di altri paralleli

stanotte

il mare risciacqua

sulla battima illune.

 

Lievita intorno

un sonno di annegati

e il vento

come un dio ferito

ai neri faraglioni

si rifugia.

 

Si perdono qui le mie notti.

E se a volte

quest’acqua mi chiama

non ho che remi d’ossa per andare.

 

A noi non resta che rimandarle con frequenza alla memoria del nostro cuore, perché, se interrogati, saremmo così in grado di rispondere senza incespicare come ancora, malgrado tutto, ci è d’uso.