Per la prima volta nel Regno Unito è reso omaggio ad Artemisia Gentileschi, pittrice italiana nata a Roma nel 1593 e morta a Napoli nel 1656 c.

“Questa mostra –  ha affermato il direttore della National Gallery, Gabriele Finaldi – sarà una rivelazione per molti visitatori, che potranno scoprire i potenti dipinti di Artemisia e conoscere la sua arte e anche la sua storia, grazie a documenti biografici che sono esposti per la prima volta. Artemisia è stata un personaggio eccezionale e la prima donna accolta come membro dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze”. 

L’esposizione, allestita (già da ottobre) alla National Gallery fino al 24 gennaio di anno prossimo (riapre al pubblico domani), è parte di un progetto espositivo – condiviso tra Intesa Sanpaolo ed il prestigioso museo londinese – che prevede nel 2022 una rassegna dedicata alla celebre artista anche alle Gallerie d’Italia di Napoli. L’antologica londinese, curata da Letizia Treves, riunisce trentacinque opere provenienti da collezioni pubbliche e private di tutto il mondo, tra cui: “Autoritratto come Santa Caterina d’Alessandria” (recentemente acquisita all’asta dalla National Gallery per 3,6 milioni di sterline), “Giuditta e la sua serva”, “Cleopatra”“Danae”, “Autoritratto come suonatrice di liuto”.

Logico e doveroso è ricordare che pochi giorni fa si è celebrata la giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Statistiche e studi dimostrano che durante il primo “lockdown” gli abusi sono aumentati, con situazioni “casalinghe” sempre più a rischio.  Anche ora la situazione non è migliorata: ad esempio, 25% di violenza in più in Argentina, il 30% in Francia e a Cipro, il 33% a Singapore. In Italia le chiamate di aiuto al numero verde 1522 sono raddoppiate tra marzo e giugno. In Brasile 648 donne sono state uccise nei primi sei mesi dell’anno, in aumento rispetto allo stesso periodo del 2019. 

Come noto, nel Seicento vari “ruoli” tradizionali erano riservati a gran parte delle donne, come accudire la casa (mogli e madri), entrare in convento, coltivare i campi o servire. Alcune, eccezionalmente, nell’ambito delle classi più elevate, si dedicarono anche a studi scientifici… ma artiste proprio no. Non era visto di buon occhio. È in questo clima che vive Artemisia Gentileschi, da sempre un “riferimento artistico” di reazione alla violenza, simbolo di lotta femminile per la propria integrità fisica e libertà intellettuale. Infatti, la pittrice aveva subito uno stupro (nel 1611) da parte dell’artista Agostino Tassi. Certo è che ella affrontò un processo, voluto in particolar modo dal padre, quel famoso Orazio che accompagnò l’apprendistato della figlia e poi, anni dopo a seguito di varie vicende che li allontanarono, si riunì con lei per lavorare nel 1639 proprio a Londra, alla corte di Carlo I d’Inghilterra, diventando artista di corte. Ed è sempre il padre che, dopo la conclusione del processo, combinò per Artemisia un matrimonio che servì a restituirle uno status di onorabilità. Orazio, causa indiretta dell’accaduto (aveva chiesto al Tassi di insegnare alla giovane talentuosa), amava ed apprezzava moltissimo la figlia e non si diede mai pace. La considerazione di Artemisia come pittrice la si può riscontrare in alcune lettere ritrovate, come quella (una delle prime) scritta alla granduchessa di Toscana Cristina di Lorena il 6 luglio 1612: “… Questa femina, come è piaciuto a Dio, havendola drizzata nelle professione della pittura in tre anni si è talmente appraticata che posso adir de dire che hoggi non ci sia pare a lei, havendo per sin adesso fatte opere che forse i prencipali maestri di questa professione non arrivano al suo sapere”

Sulla vicenda della violenza subita, in mostra si può leggere la trascrizione originale del processo (famose le parole pronunciate dalla Gentileschi durante l’arringa: “È vero, è vero, è vero”) del 1612, proveniente dall’Archivio di Stato di Roma. Inoltre, da essere consultate anche interessanti lettere personali recentemente scoperte nell’archivio Frescobaldi a Firenze.

Artemisia, simbolo del femminismo internazionale “ante litteram”, sa che “il nome di donna fa stare in dubbio finché non si è vista l’opera” e lavora, senza sosta e con passione, guardando alla luce caravaggesca. Si narra che conobbe personalmente Caravaggio, il quale era solito prendere in prestito strumenti dalla bottega del padre Orazio. In quel primo periodo romano l’autrice “respira” l’aria creativa del momento. Sono anni in cui Caravaggio lavora nella Basilica di Santa Maria del Popolo e nella Chiesa di San Luigi dei Francesi. Guido Reni e Domenichino gestiscono il cantiere a San Gregorio Magno. I Carracci terminano gli affreschi della Galleria Farnese.

La Gentileschi sperimenta, prova a “riprender dal vero” il paesaggio, studia con passione la prospettiva, inserisce nei suoi lavori l’anima dell’impulso emotivo, gestito con maestria ed elaborato dalla visione del particolare e dell’insieme. Organizza sempre con molta cura lo studio e promuove le Arti, costituendo anche, soprattutto nel periodo fiorentino, un salotto culturale, a dispetto di tutte le difficoltà e pregiudizi incontrati nella vita.

La fragilità emotiva, col tempo trasformata in autentica forza espressiva, si riscontra in moltissimi suoi lavori. L’energia dei colori intensi, le pennellate quasi “gettate” con rabbia, i molteplici autoritratti “non dichiarati”, in cui si immedesima nella protagonista ritratta. Si veda, tra tutti, “Giuditta che decapita Oloferne” (1614-1620). Un soggetto trattato anche precedentemente da diversi artisti. Come non ricordare, tra tutti, quello dipinto da Caravaggio tra il 1598 ed il 1599. In Artemisia troviamo maggiore realismo, in particolar modo in quel sangue realistico, più vissuto e meno narrato di quello dipinto da Caravaggio, quasi inverosimile. Ed anche il nero dello sfondo nell’artista romana diviene più inglobante. La luce coinvolge la scena, quasi rapita con lo sguardo di nascosto, nella penombra, senza fiatare perché è in atto un omicidio. Nel grande autore barocco il nero (pieno di tutta l’angoscia e la tematica della morte caravaggesca) condivide lo spazio con un tendaggio rosso cupo, che crea un movimento visivo, con effetto teatrale. La luce è fotografica, filmica, mentre l’azione in atto viene bloccata da una zoomata di scena.

Si può ammirare anche “Maria Maddalena in estasi” (1620-25). La figura della santa era oggetto di studio da parte di diversi autori. Guido Reni, ad esempio, la dipinse più volte arrivando, sulla tela del 1640, ad una profonda inclinazione spirituale ed interiore. Artemisia sceglie il momento dell’estasi, e relaziona sacralità e carnalità con rispetto dell’iconografia religiosa mantenendo, comunque, una osservazione terrena e una interazione psicologica. Non ci sono rossi o luci dirette, ma un gioco di tonalità e cromatismi netti mai eccesivi. Stessa modularità del colore, seppur con variazioni di tinte, in “Cleopatra” del 1633-35 circa. Anche in quest’opera si evidenzia la sapiente conoscenza del corpo femminile. Del resto, fin da ragazza aveva studiato il disegno e l’anatomia per rappresentare il corpo umano, iniziando dal proprio, con un’attenta e delicata analisi delle sue forme. La figura femminile, seppur di una regina, è naturale e dolce, dal vago sapore di una rappresentazione tipica del barocco, che, ma senza indulgere in eccessi, mantiene una propria costante: la forza della vita.