Come è noto, il termine “ucraina” significa “confine”, e la sorprendente avanzata delle truppe di Kiev nella regione di Kursk sposta questo limite verso Oriente, ridefinendo ancora una volta i rapporti tra le due anime dell’antica Rus’, la Russia e l’Ucraina contemporanea. Non esiste infatti un vero confine geografico tra queste due parti del mondo russo, se non il fiume Dnepr che da Kiev a Kherson esprime quel passaggio che ha generato la stessa natura storica dei russi, che attraverso i fiumi cercavano di connettersi con i regni europei e staccarsi dalle radici asiatiche, rimbalzando storicamente da entrambe le sponde dell’Eurasia.
Kursk era un principato più antico di Mosca, risalente alla fine dell’XI secolo, quando nel 1095 fu concesso a Izjaslav, il figlio del granduca di Kiev Vladimir “il Monomaco”, che si riteneva erede degli imperatori bizantini avendo sposato una delle loro figlie, e fu l’ultimo monarca della Rus’ di Kiev a tenere in qualche modo uniti tutti i territori contesi da figli e nipoti. Del “secondo Vladimir”, a cui fu dedicata la città che divenne capitale per qualche decennio, usurpando il potere della stessa Kiev, si ricorda un testo chiamato Poučenie, “Ammonizione”, che all’inizio del XII secolo supplicava, con dovizia di citazioni bibliche, tutti gli altri principi di far cessare le lotte intestine, in russo antico i meždousobnja brani, che caratterizzavano la vita dell’antico Stato russo e che ancora oggi si ricordano nelle invocazioni della liturgia slava-ecclesiastica, come uno dei mali principali per cui chiedere a Dio la misericordia e il perdono.
La lotta per Kursk è ricordata nell’antica Cronaca di Nestor come la guerra tra i Monomakhovy e i Mstislavoviči, gli eredi di due rami della famiglia antica dei sovrani kieviani, e si trasformò tra il 1183 e il 1185 nella campagna contro i nemici provenienti da oltre il fiume Volga, i polovtsy poi riassorbiti dai tataro-mongoli. Il principe Vsevolod di Kursk si unì a quello di Novgorod, Igor Svjatoslavič, in una battaglia che avrebbe potuto riunire tutte le famiglie in lotta contro il nemico esterno, ma che si concluse con una tragica sconfitta. Questo evento fu esaltato dal poema del Canto della schiera di Igor, il più grande capolavoro della letteratura della Rus’ di Kiev, in cui la sconfitta si trasforma in promessa di rinascita, chiamando la natura, gli antichi dèi pagani e l’intero popolo russo a unirsi per riscoprire la propria anima, chiudendo infine con la consacrazione della Rus’ alla Madre di Dio, nella “doppia fede” pagana e cristiana che caratterizzava questi secoli leggendari a cui oggi la Russia cerca di rifarsi per ritrovare sé stessa, finendo per scontrarsi di nuovo con le proprie divisioni e contraddizioni.
Kursk fu uno degli ultimi baluardi di fronte all’avanzata dei tartari, ottenendo una parziale vittoria nella battaglia di Kalka del 1223, per poi essere travolta dalle armate del khan Batyj nel 1239, subito prima della distruzione della stessa Kiev. Il suo territorio continuò a essere chiamato “principato di Kursk”, anche se non c’era più alcun principe, rimanendo a disposizione di tutti gli avventurieri dell’occidente polacco-lituano e dell’oriente della nuova capitale che si stava formando in quei frangenti sfruttando l’amicizia con i tartari, quella Mosca fondata nel 1147 e distante 500 chilometri da Kursk, che fino al 1300 era rimasta una semplice stazione di posta dei commerci più settentrionali, sul fiume Moskva. La riscossa avvenne agli inizi del XIV secolo, con singolare analogia storica grazie alla dinastia detta di Putivl, il titolo di una roccaforte simile al nome dell’attuale presidente della Russia, per cui Putin significa “Colui che è sulla strada”. Per tre secoli il principato di Kursk rimase parte del regno di Lituania, per essere poi riassorbito nella Russia seicentesca degli zar insieme a Kiev.
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