Bari…centro d’Italia, dove s’infrange una pretesa classe dirigente.

Di tutta questa brutta pagina della politica italiana dovrebbe rimanere impressa a ciascuno di noi l’assoluta inadeguatezza, la sfrontatezza spregiudicata e la vacuità impalpabile di una pretesa classe dirigente.

Quel maestro delle telecronache sportive di Bruno Pizzul usava spesso una frase, quando a fine partita doveva descrivere la situazione di due squadre avversarie ormai prive di mordente e di energie che si affidavano all’improvvisazione per cercare di guadagnare la vittoria: “Sono saltati tutti gli schemi”.

Niente più coordinate precise, confusione in mezzo al campo, disordine tattico e tecnico per affidare al caso e all’invenzione del momento la soluzione del match. È quello che si potrebbe dire per descrivere, in brutale sintesi, la pessima vicenda di Bari che ha tenuto banco questa settimana.

Proviamo a far tornare indietro il film.

Il ministro Piantedosi (quello che si è autobattezzato con vanto “questurino” in pieno Parlamento) tiene una riunione con un viceministro della giustizia in carica, con un sottosegretario in piena funzione e con uno stuolo di parlamentari di destra che gli sottopongono l’esigenza di avviare lo scioglimento ai sensi della legge antimafia di uno dei più importanti Comuni d’Italia, quello di Bari (retto da uno dei principali esponenti della sinistra italiana, Antonio Decaro, presidente in carica dell’Anci, probabile candidato alle elezioni europee e possibile successore di Elly Schlein alla guida del Nazareno in caso di rovesci elettorali del Pd).

Il fatto, già in sè, rappresenta un unicum di proporzioni inaudite. Non si era mai visto, nella storia della Repubblica, che un ministro dell’interno prendesse ordini su materie di propria ed esclusiva competenza da parlamentari della sua area politica. Nella prima Repubblica, se un manipolo di deputati e senatori Dc avessero richiesto al ministro dell’interno un incontro per chiedere a gran voce lo scioglimento per mafia di un comune capoluogo retto da un avversario politico, qualunque ministro dell’interno (democristiano per tutta la durata di quella esperienza storica) li avrebbe rispediti al mittente rifiutandosi di sottoporsi a un incontro simile. Come mi ha detto un antico frequentatore del Viminale: “Non solo Taviani, o Scelba, o Rognoni o Mancino non li avrebbero neanche fatti entrare, ma anche un qualunque sottosegretario li avrebbe fatti parlare con gli uscieri avendo saputo il tenore della richiesta”.

Così funzionava, quando c’era la politica. Ma oggi ci sono i “questurini”. E quindi avviene che una parte politica che fa sempre professione di garantismo, con tanto di viceministro alla giustizia all’assalto, si trasforma in novelli Robespierre che invocano lo scioglimento per mafia (un’onta tremenda, dal danno di immagine quasi inemendabile) di un comune che – peraltro – tra neanche 3 mesi è chiamato al voto per naturale conclusione della consiliatura.

E a quel punto, secondo un copione che sembra scritto da Ionesco, le parti immediatamente si rovesciano. Una sinistra tradizionalmente pronta agli impulsi giacobini e giustizialisti, si impalca immediatamente a garantista urlando al complotto. Chiamando inevitabilmente ad una domanda: ma cosa sarebbe accaduto se, anzichè a Bari, la procedura di scioglimento per infiltrazioni mafiose fosse avvenuta in un comune retto dalla destra – chessò, Palermo? Facile immaginarlo: da sinistra sarebbero arrivati pronunciamenti e concioni anti-corruzione, inviti a procedere alla richiesta di scoglimento del Comune senza indugi, fino alla inevitabile fiaccolata della legalità.

Gli schemi di gioco saltano, fino al punto da arrivare – dentro una escalation emotiva che sembra avere una regia comunicativa non banale – a sfiorare le vette del paradosso.

Mentre da destra si soffia sul fuoco giustizialista, da sinistra parte una campagna di beatificazione del buon Decaro, con i suoi laudatores che dicono che in questi anni ha combattuto per bonificare il Comune dalla mafia! Dimenticandosi di dire chi c’era prima di Decaro in Comune, ovvero il prode Michele Emiliano, il vero regista delle operazioni di trasformismo e di andirivieni politico degli ultimi vent’anni in Puglia, che improvvisamente oggi balzano agli occhi della sinistra evidentemente distratta nelle esigenze di magnificazione della “primavera pugliese” di Emiliano e Vendola (altro passante di questi anni baresi, pugliesi e italiani).

E gli schemi, lungo questo teatro dell’assurdo, saltano completamente in un incredibile comizio nel quale Michele Emiliano si vanta di avere “portato Decaro dalla sorella del boss”. Gli schemi sono saltati, le parti si sono invertite, il gioco dell’assurdo si è sviluppato.

Di tutta questa brutta pagina della politica italiana dovrebbe rimanere impressa a ciascuno di noi l’assoluta inadeguatezza, la sfrontatezza spregiudicata e la vacuità impalpabile di una pretesa classe dirigente che – da destra a sinistra – ha semplicemente dato prova di cosa significhi non essere attrezzati per la guida di un Paese.

 

[Tratto dal profilo Fb dell’autore, capogruppo di Italia Viva al Senato]