Non farà piacere ai professionisti dell’antiberlusconismo. Nè ai sostenitori a sinistra, e tra i 5 stelle soprattutto – che sono presenti anche a destra, come ovvio e risaputo – della demolizione personale dell’avversario politico. Una prassi che conosciamo da anni e che non merita neanche di essere ricordata talmente è nota. Ma, piaccia o non piaccia, dobbiamo prendere atto che, forse per l’età o forse per una recuperata saggezza politica, le ultime e rare esternazioni politiche di Berlusconi sono degne di nota e non possono essere semplicisticamente snobbate. L’ultima intervista rilasciata a “Repubblica” conferma che da quelle parti, cioè nel campo del centro destra, non tutto è Salvini e Meloni. C’è dell’altro, semprechè non sia una sola rondine. Perchè, come ben sappiamo, non basta per fare una primavera.
Ma, per restare al merito politico, Berlusconi sostiene due cose a mio parlare non secondarie. Innanzitutto che nei momenti più drammatici – e quello che stiamo vivendo è uno di quelli – un paese ha l’obbligo di unirsi. Cioè di “aiutare chi decide”. E sin qui può apparire un ragionamento alla catalano ma nella concreta situazione politica italiana è già un gran passo avanti. Cioè l’ormai famosa politica di “coesione nazionale” o di “unità nazionale”. In secondo luogo la sottolineatura della “centralità dell’Europa” in questa difficile fase politica per il nostro paese e anche per tutti gli altri paesi del vecchio continente. O meglio, l’unità politica dell’Europa. E, aggiunge Berlusconi al riguardo, il progetto politico illustrato recentemente da Draghi può dare un contributo decisivo per risollevare il vecchio continente. E anche il nostro paese facendolo uscire ora dall’isolamento ora dalla confusione.
Detto questo, però, ci sono almeno due questioni che non possono essere sottovalutate. La prima. Questa posizione, cioè quella illustrata da Berlusconi e da altri esponenti del centro destra, hanno la forza per condizionare oggi l’attuale centro destra a trazione leghista? Cioè una posizione che non insegua solo e soltanto la brutale radicalizzazione del confronto politico nel nostro paese accompagnata da una scarsa cultura di governo? In secondo luogo, sarà mai possibile dar vita, seppur dopo questa drammatica ed immane emergenza sanitaria, ad un luogo politico che sappia recuperare le ragioni e la cultura di una “politica di centro” che sia elemento non di grigio trasformismo, non di gregaria appartenenza, non di immobilismo cinico e tattico ma, al contrario, una politica che sappia recuperare una cultura di governo e, soprattutto, un modo di essere in politica che esca dall’involucro demagogico, populista e fazioso che sono e restano all’origine della nostra crisi della politica e della sua classe dirigente?
Due piccole domande politiche che non possono e non potranno essere eluse da chi, seppur tardivamente, pone la questione dell’europeismo, del buon governo, di una prassi riformista e democratica in cima della sua agenda. Vedremo se le interviste, seppur interessanti e suggestive, avranno un seguito politico e, soprattutto, di iniziativa e di azione politica.