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mercoledì, Febbraio 12, 2025
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Biden e Trump. Un diverso senso delle istituzioni.

Alla compostezza dell’ex Presidente si è contrapposto l’atteggiamento del Presidente neoeletto, finanche distruttivo di qualsiasi grammatica democratica. Trump ha parlato come se la campagna elettorale non si fosse conclusa.

Chiunque abbia a cuore le sorti delle democrazie liberali indipendentemente dalle proprie idee politiche non può, se vuole essere sinceramente oggettivo, non osservare l’enorme differenza di comportamento e di stile, umano innanzitutto e poi anche istituzionale, fra il Presidente Biden e il Presidente Trump nel periodo di transizione fra le due presidenze e nel giorno stesso del giuramento del nuovo Presidente.

Abbiamo tutti ancora negli occhi la compostezza con la quale Joe Biden ha affrontato l’altro ieri un momento che certo non poteva essere facile per lui: con le strette di mano, con il sorriso al nuovo rappresentante del popolo degli Stati Uniti, al nuovo Commander in Chief, ben conscio dell’importanza che per un sistema democratico e per una nazione rivestono le cerimonie formali che illuminano la sostanza, ovvero l’espressione della volontà popolare. Tanto più se all’indomani di combattute e aspre competizioni elettorali. Una consapevolezza che era ben presente nella Rotonda del Campidoglio fra gli ex presidenti lì riuniti, Clinton, Bush jr., Obama e nei vicepresidenti inclusa Kamala Harris, certo lei molto tesa e meno capace di mascherare il proprio sentimento di netta ostilità nei confronti di chi l’ha apostrofata come “pazza” durante la campagna elettorale.

La collaborazione fra l’Amministrazione uscente e quella entrante è stata massima, come è giusto che sia, e ha raggiunto il suo vertice nel conseguimento dell’accordo per una tregua a Gaza e il conseguente rilascio degli ostaggi israeliani.

Ebbene, a fronte di questo comportamento esemplare non si può dimenticare (e non lo si può non confrontare) quello ben diverso, anzi opposto, esibito da Donald Trump quattro anni fa. Distruttivo di qualsiasi grammatica democratica, rivoluzionario nel suo disprezzo proprio della volontà popolare: che non ha riconosciuto, non ha accettato, mai ammettendo la sconfitta, mai chiamando il suo successore con l’appellativo a lui dovuto: Mr. President. E mai condannando lo sfregio indelebile portato all’istituzione più sacra di ogni nazione democratica, quell’ignobile assalto al Campidoglio che resta la ferita più grave subìta dagli Stati Uniti dai tempi della loro cruenta Guerra Civile. Trump ha deciso di libererare dalle galere i responsabili di quell’oltraggio, inviando così un ulteriore messaggio di disprezzo nei confronti di quella consapevolezza istituzionale che in questi due mesi Biden e idealmente con lui gli altri ex Presidenti hanno dimostrato di possedere e di rispettare.  

Non solo. Nel suo discorso di insediamento il 45mo e 47mo Presidente ha cominciato bene salutando i suoi predecessori con il loro giusto titolo, incluso il Presidente Biden, chiamato così per la prima volta in quattro anni, ma subito dopo ha tramutato quello che avrebbe dovuto essere un intervento istituzionale di pacificazione nazionale in un comizio dai toni durissimi, come se la campagna elettorale non si fosse conclusa.

Trump e la nuova dirigenza del vecchio e glorioso Partito Repubblicano ormai disonorato e reso un mero strumento a servizio del tycoon newyorkese vogliono rivoluzionare l’America secondo i dettami del loro nuovo vangelo individualista e sovranista. Arricchito con le iperboli marziane di Elon Musk e con il potere invasivo della tecnocrazia digitale che insieme offrono un senso di onnipotenza a rischio di tramutarsi in delirio e che solo le solide – ma sono ancora tali? – istituzioni repubblicane potranno moderare. Quelle istituzioni che Joe Biden ha onorato nel comportamento e nell’atteggiamento, alle quali ha voluto dedicare la propria legacy, ammonendo i propri compatrioti a non tradirle mai e a difenderle, se dovesse rivelarsi necessario di fronte a un pericolo ormai non più solo virtuale: “Oggi in America sta prendendo forma una oligarchia di estrema ricchezza, potere e influenza che minaccia la nostra intera democrazia, i nostri diritti e libertà basilari e le pari opportunità per tutti di avanzare nella società”, con un nucleo di miliardari espressione del “tech industrial complex”, del settore tecnologico, che hanno acquisito “una pericolosa concentrazione di potere”.

God bless America. E tutti noi.