L’appello a “bloccare tutto” del 10 settembre è stato talvolta liquidato come uno slogan nichilista, quasi fosse il segno di una volontà distruttiva. Io credo invece il contrario: esso esprime legittimamente il desiderio di ricreare i nostri modi di vivere insieme. Per comprenderlo, occorre contestualizzare la chiamata al blocco dell’economia e interrogarsi sul significato di un gesto simile e sulle prospettive che apre.
Da decenni viviamo nell’illusione che le “crisi” siano eventi passeggeri che vengono a “perturbare” il normale funzionamento del nostro sistema economico e politico. Ma l’idea di crisi implica quella di normalità. In realtà, non viviamo un disordine parziale e momentaneo, bensì un disordine generale ed esponenziale.
Sappiamo che l’attuale sistema economico non è sostenibile né socialmente né ecologicamente. Produce e alimenta disuguaglianze abissali; consacra il denaro come misura e valore supremo della vita; impedisce di stabilire condizioni di esistenza dignitose per tutti, oggi e domani; contraddice la necessaria salvaguardia della natura. Il nostro regime politico, dal canto suo, si rivela incapace di combattere davvero questo disordine socio-economico. Le élite politiche ed economiche tendono a coincidere, l’omogeneità sociologica dei dirigenti mina la legittimità delle istituzioni.
Il rifiuto dei veri nodi da affrontare
Il potere, che sia economico o politico, prende la forma di flussi globali e di processi di condizionamento che penetrano nella sfera dell’intimità e si impadroniscono delle vite. Due esempi: i nostri dati personali vengono sfruttati e monetizzati da multinazionali potentissime; un’intelligenza artificiale iper-finanziata, priva di contropoteri democratici e popolari, minaccia le nostre libertà.
Questi mali socio-economici e politici si ricollegano a un problema più ampio: alcune impasse della modernità. Basti pensare al modo in cui questa ha radicato l’idea della natura come un serbatoio di risorse sfruttabili e non come una creazione da custodire. Tutto ciò conduce inevitabilmente a tensioni sociali sempre più forti e a un’esigenza legittima di trasformazione collettiva.
È davvero “nichilista” bloccare la produzione quando questa distrugge le condizioni di vita? Smettere di lavorare quando il lavoro coincide con lo sfruttamento delle persone e la devastazione della natura? Sospendere la consumazione quando diventa il luogo del nostro asservimento? Non è forse, invece, un segno di rifiuto di riconoscere le vere battaglie da combattere?
Questi atti, al contrario, sono il segno di una coscienza in allarme. Aprono una breccia nel meccanismo della storia, di cui bisogna interrogare e reindirizzare al più presto le finalità. Oppongono al potere una riappropriazione, da parte del popolo, degli strumenti di deliberazione e decisione politica.
Un’altra storia è possibile
Quale sguardo teologico posare su questa situazione? Per i cristiani, Dio si è fatto evento, rottura temporale ed etica decisiva. L’incarnazione di Cristo nella storia è un’irruzione che, in un unico movimento, scuote l’ordine costituito e lo rimette al suo posto. Cristo libera le persone dalle loro catene, distrugge le strutture di oppressione, annuncia e realizza il Regno di Dio, «giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo», per citare san Paolo (Rm 14,17), testo su cui il teologo François Odinet si appoggia per riflettere sulla nozione di Regno (Maintenant, le Royaume, Desclée De Brouwer, 2024). Il tempo messianico di Cristo non è un fatto passato, ma una possibilità sempre attuale.
Non scrivo, ovviamente, per dare un’unzione divina al 10 settembre e identificarlo con la volontà di Dio. Né per sostenere che il Regno possa realizzarsi pienamente nella storia. In entrambi i casi si tratterebbe di una sacralizzazione indebita di realtà umane.
Perché allora intrecciare teologia e attualità? Semplicemente per ricordarci che, quando si apre l’occasione di una conversione personale o collettiva verso una società più giusta, sarebbe davvero strano che i cristiani rifiutassero di considerarla con attenzione e interesse, loro che credono in un Dio che ha mostrato come un’altra storia sia sempre possibile. Che se ne tenga conto quando certi media descriveranno il movimento come orde di nichilisti sghignazzanti.
Traduzione della redazione.
Per leggere il testo originale in francese, pubblicato su La Croix, cliccare qui.