Può darsi che tutto rientri, lasciando sul campo la figurina strappata di una candidatura molto divisiva. Eppure la sola ipotesi d’ingresso nelle liste per la Regione Calabria di Donatella De Cesare, filosofa filoputiniana e spericolata autrice di un post in memoria della brigastista Balzerani, rende l’immagine di una politica che ha perso il suo baricentro morale. Non è in discussione, ovviamente, la libertà di pensiero e di parola; una libertà che non autorizza tuttavia a omologare qualsiasi espressione verbale come amica della verità, essendo sempre necessario, in regime democratico, tenere fermi i principi che fanno muro all’intossicazione ideologica del pubblico dibattito.
Un confronto ridotto a fiera dell’ambiguità
Ebbene, finora il pentastellato Tridico, ex presidente dell’Inps e candidato del cosiddetto Campo largo, è parso solamente preoccupato di ribaltare le accuse, cercando di scovare nella condotta o nelle intenzioni della destra quel tanto di oscurità del suo passato, che serve a mascherare la propria linea equivoca. Come giudicare questo approccio? Non ci sono vie di mezzo, il confronto democratico non può scadere a livello di fiera dell’ambiguità. Ammesso che a destra siano presenti – e in parte lo sono – i residui di una storia vecchia, non per questo la scelta di una candidatura all’insegna del progressismo può trascendere nel coup de theatre che sembra alludere a reviviscenze del tipo “né con lo Stato, né con le Br”. Qui sta il punto di discrimine, cancellato il quale si rientra virtualmente nella notte della Repubblica.
Il Pd prigioniero di radical-populismo
Sbaglia pertanto Elly Schlein a trincerarsi in un silenzio che veicola per circuiti tutti interni alle dinamiche di coalizione l’intuibile distinguo rispetto alla contestata candidatura. Il problema vero, come si vede, è la natura di una coalizione che si mostra pericolosamente cedevole sul lato del radical-populismo. Ora, il Pd che fa di Berlinguer la sua icona, dovrebbe almeno appellarsi alla rigida preclusione del Pci nei confronti dell’estremismo rosso e soprattutto del fenomeno brigatista. Niente di tutto questo, purtroppo; o meglio, niente che blocchi la deriva di astuzie e connivenze in funzione dell’accordo con Conte. Sicché a Bari si consente che Decaro ponga i veti su due candidature prestigiose, quella dell’attuale presidente Emiliano e del suo predecessore Vendola, mentre in Calabria non si ha il coraggio di stroncare sul nascere l’ammiccamento a un connubio elettorale che riporta alla memoria i “cattivi maestri” degli anni di piombo.
Ciò spiega, al di là dei presunti meriti della “cura Schlein”, il declino del Pd e la necessità di un decisivo chiarimento al suo interno. Come possono i “riformisti” continuare a coprire le dubbie parabole di un partito che li vede sempre più ai margini, con l’evidente rischio per tutti loro di perdere credibilità?