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mercoledì, 17 Settembre, 2025
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Camminare insieme, oppure separati e da soli?

Nei momenti più critici della storia occorre coesione: l’illusione del localismo e il narcisismo dei leader rischiano di frammentare la società e la politica.

Ci sono momenti nella storia degli Stati in cui è necessario essere più uniti possibile, evitando i particolarismi provocati soprattutto dai leader e dalle lotte politiche fra i tanti gatti e le tante volpi presenti nei partiti. Quello che viviamo è uno di questi momenti. Non è forse un caso che, a tale proposito, Aldo Cazzullo nel suo ultimo libro su Francesco d’Assisi citi la metafora realistica di Bergoglio della “stessa e unica barca” dove dobbiamo salire tutti, dal momento che “…nessuno si salva da solo”.

L’identità e il rischio del localismo

Mescolare vini diversi e di gusto distinto è un gran peccato. Si sa: ogni vino ha infatti le sue caratteristiche e la sua identità, financo territoriale. Diciamola allora tutta senza scandalizzare. Perché è un’operazione veramente difficile traslocare nella società politica questo paradigma caratteristico del pluralismo enotecario senza cadere nella trappola dell’identitarismo localistico, recintato e sbarrato: segno di un romantico sovranismo nazional-patriottico delle differenze. Quello senza “ponti”, ma fuori dalla storia; e quello con alti “muri” di protezione filo-spinati, ma fuori dalla realtà.

La diversità dei vini esiste. E l’eterogeneità dei gusti è il frutto di un reale pluralismo di terre, uve, aromi e profumi. Un pluralismo che, traslato nella società, ha anche un suo concreto riscontro. E, con tutte le dovute distinzioni, un riscontro anche descrittivo, sociologico e antropologico, che bisogna però sempre saper maneggiare e interpretare con pinze e guanti sterilizzati.

Una società plurale

La società nella sua articolazione non è mai un corpo antropologico unico e solido, uno spazio di vita compatto e omogeneo. Anche se, spesso fraintendendo in maniera tragica, si trasforma in una distinzione di razze, territori, lingue e tradizioni da non contaminare e disturbare.

Una società plurale, la nostra, dunque. Che, secondo una vulgata crescente, bisognerebbe lasciare in pace nel suo cantuccio geopolitico e culturale. Respingendo o isolando in Albania gli stranieri e gli emigranti – tutti delinquenti, come ripete Salvini – che intendono entrare. Governando con lungimiranza gli sbarchi, ma mettendo nel conto che il nostro Paese è in progressiva decrescita demografica, e che l’Italia del futuro avrà bisogno di giovani.

Dalla polis al comunitarismo

Un punto centrale del Demos e della Polis iniziali, di origine greca, da cui ha poi preso le mosse la democrazia moderna, è stato infatti sempre quello di interpretare, rappresentare e rispettare al meglio le città. Le diversità locali e il popolo della città, le persone dei diversi luoghi dove si è nati, si vive e si lavora.

Il comunitarismo è nato sul finire dell’800, frutto della dicotomia “Comunità e Società” proposta da un bravo sociologo tedesco: Ferdinand Tönnies (Gemeinschaft-Gesellschaft, 1887). Questo studioso, anche se radicalizza un poco la differenza dei rapporti sociali fra i due termini e nasconde un rimpianto verso una realtà comunitaria preindustriale e settecentesca, fa comunque capire le trasformazioni culturali e sociali in atto ai suoi tempi, con le quali dovevano – e dobbiamo ancora oggi – fare sempre i conti.

Una Società composta da individui separati e isolati, ognuno che pensa ai fatti suoi; e una Comunità fatta di persone in relazione, che pensa anche ai fatti degli altri. Una Società dell’“IO” e una Comunità del “NOI”.

Localismi e bene comune

Differenze tra locale e generale ce ne sono. Ma il loro rispetto andrebbe bene sino a quando il locale non si chiude a riccio e non si isola, a volte geloso della sua specifica diversità. Sino a quando, insomma, non si trasforma in localismi molto ben definiti dalla Treccani come “…tendenza a impostare e risolvere i problemi di natura politica o sociale da un punto di vista angustamente locale, senza tenere conto della situazione generale…”.

Localismi, per farla breve, che pensano solo al bene particolare dei pochi, e non al bene comune dei molti. Come ha tentato di fare la Lega di Bossi con la sua “Padania Libera” e con il seguito delle “Autonomie differenziate” di Salvini. Tutto questo però si è proposto perché si è guardato solo allo spazio locale.

Quando però si alza lo sguardo e si sale un solo gradino guardando alla società globale entro cui oggi viviamo, e con la quale dobbiamo misurarci con tutti i suoi venti di guerra sulla scena e con quelli che si prevedono, dobbiamo per forza cambiare i paradigmi del localismo e di quelle differenze fra nemici interni, utili solo alla lotta politica interna e alle elezioni.

La sfida sovranazionale

C’è una dimensione sovralocale, sovracomunitaria e sovranazionale, geopolitica, che arrivati a questo punto ci interpella e ci sfida, e con cui bisogna misurarsi. Che è assurdo pensare di affrontare con tante separate e solitarie barchette.

La prova più urgente è da subito quella europea, su cui Sergio Fabbrini – con la sua Europa da federare e unire politicamente – ci invita ogni santo giorno a riflettere dalle pagine del Sole 24 Ore.

E c’è una realtà che, tra le morse di due autocrati maniacali come Trump e Putin, ma non solo loro, ci preoccupa molto e ci spinge ad alzare lo sguardo per guardare lontano dal dito e dal nostro buon vino locale. Lontano dai localismi chiusi e circoscritti, dai partitini dello zero virgola, e dal sovranismo rispolverato, sollecitandoci a stare insieme e uniti il più possibile, pur nella dichiarata diversità.

Unità politica contro il narcisismo dei leader

Questa esigenza – urgente – deve anche sollecitare ad essere più coesi nelle weltanschauung, nelle risposte, negli obiettivi, perfino nei programmi dei partiti politici, senza cui la frammentazione divisiva fra amici e nemici sotto i nostri occhi avrà partita vinta.

Mi riferisco al finto pluralismo che viviamo. Quello che, ad esempio, abbiamo sperimentato nelle ultime elezioni con ben 27 partiti diversi che alcuni, per evitare il ridicolo, si sono coalizzati, e diversi solo per la faccia del leader fondatore del partito.

Credo molto poco che, di fronte alle rivoluzioni epocali dietro l’angolo e già avviate da tempo, ci possano essere 27 risposte diverse, a misura dei 27 leader sulla scena italiana, con 27 programmi, obiettivi e risposte differenti alle sfide comuni a tutti.

Mi auguro solo che si acquisti un poco di gusto verso quella dimenticata Fratelli Tutti, che si rispetti un sano pluralismo e una sana dialettica, rivolti al bene comune e non al narcisismo dei leader.