Interessanti le argomentazioni di Lillo Mannino e Gerardo Bianco. La traumatica sfiducia a Draghi ha cambiato il quadro politico. C’è più attenzione alle potenzialità del centro. Ora, la spinta del cattolicesimo democratico e popolare deve favorire la configurazione di una “grande alleanza” che corrisponda all’idea di un “grande centro”, con l’evidente finalità di unire i democratici anti sovranisti e anti populisti.
Lucio D’Ubaldo
Sulla spinta dell’indignazione per il licenziamento di Draghi, cresce la consapevolezza di quanto sia importante la mobilitazione dei cattolici. Non siamo agli appelli alla ricostituzione della Dc, ma alla presa d’atto della consumazione di ogni ipotesi centrista corriva con il sovranismo e il populismo. Conte e Salvini sono espressione di una politica che non si concilia con la tradizione del cattolicesimo democratico e popolare. Né la Meloni, con il suo rafforzato identikit di destra, può riuscire meglio nel tentativo di appropriazione di una eredità culturale e politica come quella democristiana (alla quale, saltuariamente, invita a guardare Guido Crosetto). Anche le personalità più ostiche al dialogo con il Pd, al punto di “sopportare” finora la reazione berlusconiana in quanto propiziatrice di una difesa dall’egemonismo della sinistra, giungono a considerare inammissibile la svolta nazional-corporativa che travolge la posizione dei moderati di centrodestra.
Durante i colloqui a Villa Grande, nei giorni cruciali della crisi, non è stata minimamente avvertita la voce dell’Udc. È la fine di ogni illusione o, se vogliamo, di ogni equivoco. Non solo Casini, leader di quel partito per molti anni, ha deciso di schierarsi al fianco del Pd fin dalle elezioni del 2018, rompendo perciò con il centrismo subalterno alla destra; non solo lui, appunto, ma anche Lillo Mannino, finalmente riconosciuto innocente al culmine di una lunghissima trafila di processi per presunti legami con la mafia, abbandona remore e pregiudiziali, a lungo ostentati, per dire oggi che lo stesso Pd si configura, alla luce degli eventi, come un “partito della stabilità (…) che di fatto sta al centro” (salvo sbandamenti); non solo, dunque, una generica esaltazione delle potenzialità di un’area che pure manca di una struttura sufficientemente omogenea, eccetto per il rifiuto dell’attuale bipolarismo, ma anche e soprattutto la prefigurazione di un asse tra centro e sinistra per fare argine all’offensiva di una destra già pronta a festeggiare la vittoria all’esito delle votazioni del prossimo 25 settembre.
In questa cornice non poteva mancare l’intervento di Gerardo Bianco, il “Gerry White” dei Popolari intransigenti, quelli della rottura con Buttiglione e la sua politica di appeasement rispetto alle lusinghe dell’allora Polo della Libertà. Prima di fare appello ai cattolici affinchè partecipino attivamente alla battaglia elettorale, Bianco ha voluto dire la sua sulla questione del centro. “La mia impressione – ha detto all’Adnkronos – è che sia sbagliata l’impostazione concettuale. Il ‘centro’ non è un luogo geometrico né un luogo dove si collocano le forze politiche. Il ‘centro’ è la risultante conclusiva di una politica. Il centro è sostanzialmente un elemento dove convergono le forze che trovano un accordo su una linea, un indirizzo non solo di politica economica ma anche di pensiero, soprattutto di grandi indirizzi di civiltà”. A seguire, però, ha voluto aggiungere un auspicio e una preoccupazione: “È auspicabile che, in vista delle prossime elezioni, ci sia uno schieramento, una coalizione che possa rappresentare ciò che ho appena detto, ma non aiutano queste iniziative personali, fra l’altro di persone che in qualche modo sono anche state causa della crisi. I vari Renzi, Calenda, Bonino, insomma, possono giocare un ruolo, ma in un certo senso sono anche loro elementi della crisi, soprattutto perché si combattono da prime donne, non hanno capito che non bisogna partire dall’interesse personale né essere altezzosi. In questo momento viva l’umiltà. La politica dei partiti, purtroppo, si è personalizzata, e all’origine di tutto questo c’è il berlusconismo”.
Sembra di cogliere, dunque, la volontà di fare chiarezza. Mentre l’Italia in queste ore conquista il mondiale di fioretto, alle elezioni si dispone a vivere una partita giocata a colpi di mazzate. Il confronto si annuncia rabbioso, ben lontano dagli auspici che vorrebbero la dialettica tra i partiti e le coalizioni inguainata nelle forme di una contesa civile, con la giusta dose di far play. Ecco perché il centro esercita un certo fascino sull’elettorato più attento e sensibile al mantenimento di un clima politico di razionalità e compostezza, specie nella particolare congiuntura economica e sociale che segna la vita democratica del Paese. E tuttavia, se ha un senso il recupero di un’istanza di centro come espressione di una politica responsabile, parimenti ha senso la ricerca di una dimensione concettualmente più ampia di questa formula a rischio di logoramento. La spinta del cattolicesimo democratico e popolare, in linea con le argomentazioni di Mannino e Bianco, deve perciò favorire la configurazione di una “grande alleanza” che corrisponda all’idea di un “grande centro”, con l’evidente finalità di unire i democratici anti sovranisti e anti populisti. Certo, i tempi sono stretti e tutto congiura a rendere improbo il passaggio nella cruna dell’ago di questa nuova proposta. Solo un salto di fantasia e generosità può dare forma a una costruttiva strategia unitaria, con un programma politico chiaro, così da fronteggiare civilmente e coraggiosamente l’Invincibile Armata della destra.