Card. Gualtiero Bassetti: “un’Europa unita, su basi nuove e con radici antiche”

L’intervento del cardinale Gualtiero Bassetti alla presentazione del libro “Il denaro non governa” di Tornielli e Saleri (Perugia, 28 novembre)

Vi ringrazio dell’invito a presentare questo libro di Andrea Tornielli e Pier Paolo Saleri che già nel titolo si presenta come un volume di grandissimo interesse: il denaro non governa. Non appena l’ho visto ho pensato subito ad una provocazione. Poi leggendolo ho capito: è Papa Francesco. È la forza di un Pastore che sorprende e che guida il suo gregge con coraggio, discernimento e controcorrente. Contro i grandi poteri tecno-economici di questo mondo, contro le mode culturali e contro il pensiero dominante, restando fedele solo ad una cosa: al Vangelo. Sono assolutamente convinto, infatti, che questo Papa e questa stagione che stiamo vivendo, nonostante tutte le difficoltà e le critiche, siano un grande dono del Signore per la Chiesa e l’umanità intera. È il dono del Vangelo sine glossa, è l’auspicio di una conversione vera, col cuore, e non solo a parole.

Voglio introdurre i contenuti di questo volume con una riflessione personale. Dopo aver letto il libro, mai come in questa occasione ho avuto la netta percezione della sintonia spirituale che mi accomuna con il Papa. Una sintonia che va molto al di là del lato umano e oltrepassa anche la mia conoscenza personale. Dico questo perché molti dei temi del magistero di Francesco sono anche i miei temi da sempre: da quando ero rettore del Seminario di Firenze, vescovo a Massa Marittima e poi ad Arezzo.

I commentatori li hanno spesso definiti i temi sociali. Certo, senza dubbio, il lavoro, la disoccupazione, l’ambiente sono temi sociali. Ma nella mia esperienza personale non li ho mai disgiunti dai cosiddetti temi morali: dalla famiglia, la bioetica, il gender. E l’ho sottolineato con forza nella mia prima prolusione da presidente della Cei: occorre superare questa superficiale distinzione tra «cattolici del sociale» e «cattolici della morale» per ritornare a guardare all’unità del messaggio evangelico e quindi all’unità della dottrina sociale della Chiesa cattolica.

Per questi motivi ho molto apprezzato il taglio interpretativo che è stato dato all’intero volume e che è ben presente nel capitolo introduttivo dove vengono ribaditi due concetti fondamentali che tutta la comunità ecclesiale dovrebbe riscoprire autenticamente, a partire dai laici. Il primo concetto, magistralmente illustrato attraverso le intuizioni di Benedetto XVI contenute nella Caritas in Veritate, è quello a cui ho fatto riferimento prima: la difesa della vita è collegata a filo doppio al tema della povertà; la bioetica, insomma, non può essere scissa dall’attenzione alla questione socio-economica del mondo contemporaneo.

Il secondo concetto è invece il Magistero della Dottrina sociale da «riscoprire». Un «tesoro» prezioso che oggi è però un po’ «sbiadito» hanno scritto Saleri e Tornielli. Concordo su tutto. Sia sul «tesoro» che sullo «sbiadito». Molte volte, negli ultimi anni, sono intervenuto chiedendo ai laici, ai giovani, ai professori, agli insegnanti di acquisire veramente questo «tesoro» senza ripetere a memoria delle algide formule da manuale scolastico.

La Dottrina sociale va conosciuta, va sviluppata e va messa in pratica. Questo proposito è già di per sé un programma pastorale, sociale, culturale per l’oggi e per i prossimi decenni. Molte delle incomprensioni attuali, delle critiche a questo pontificato, nascono proprio dalla scarsa conoscenza della dottrina sociale. A cui si associa poi la protervia tipica di chi non sa di non sapere, ma si autoproclama maestro di vita o addirittura maestro della Chiesa.

Dopo aver fissato questi due concetti fondamentali, sono moltissimi gli spunti di riflessione che scaturiscono dalla lettura di questo libro. Ne tratteggio solo alcuni, cercando di delineare un itinerario di lettura tra le pagine del libro, ovviamente secondo i miei gusti e la mia sensibilità. Iniziamo, dal primo capitolo: la politica. Queste sono pagine molte belle che necessiterebbero di essere approfondite. Sono tre i punti più importanti: innanzitutto, la visione del Papa su cosa è oggi la politica. Una visione che esprime un giudizio negativo. La politica sembra denigrata e delegittimata; soprattutto appare impotente rispetto al predominio dell’economia e della finanza. In secondo luogo, la visione del Papa su cosa dovrebbe essere la politica. Ovvero una «vocazione altissima» dedita al bene comune e non alla ricerca dell’interesse personale.

In terzo luogo, e questa è forse l’interpretazione più originale e affascinante, è la «visione martiriale» della politica. Fare politica, spiega il Papa, «è una sorta di martirio. Ma è un martirio quotidiano: cercare il bene comune senza lasciarti corrompere. Cercare il bene comune pensando le strade più utili per questo, i mezzi più utili. Cercare il bene comune lavorando nelle piccole cose, piccoline, da poco… Ma si fa. Fare politica è importante: la piccola politica e la grande politica. Nella Chiesa ci sono tanti cattolici che hanno fatto una politica non sporca, buona; che hanno favorito la pace tra le nazioni. Pensate ai cattolici qui, in Italia, del dopoguerra: pensate a De Gasperi. Pensate alla Francia: Schuman, di cui è aperta la causa di beatificazione. Ed infine Konrad Adenauer, cancelliere tedesco. Si può diventare santi facendo politica».

Ho letto questa lunga citazione perché penso che sia di grandissimo interesse e soprattutto poco conosciuta all’interno della comunità ecclesiale. Dalla politica come «impegno di umanità e santità» come avrebbe detto La Pira si passa agli altri temi del libro, tutti legati da un unico filo conduttore: il cristiano sta con i piedi sulla terra ma ha lo sguardo proteso verso il Cielo. Il cristiano guarda verso la Gerusalemme Celeste cercando di cogliere i segni dei tempi ben consapevole che la sua missione ha un’origine antichissima e un’ispirazione divina.

Basti pensare alla nozione di «popolo» che dà Papa Francesco. Non c’è nulla di sociologico o politico nella sua visione. Il popolo è quell’«ampio flusso di un fiume che avanza» afferma il Pontefice. «Un popolo è necessariamente dinamico. La cultura di un popolo, i valori e i simboli comuni che lo identificano, non consiste nella sclerotica ripetizione dell’uguale, bensì nella vitale creatività sulla base di ciò che si è ricevuto». E infine per concludere il suo ragionamento sul popolo, Bergoglio riprende anche la definizione che ne dà sant’Agostino: «Il popolo è l’insieme di esseri razionali associato nella concorde comunione delle cose che ama».

In definitiva, il popolo è costituito da uomini e donne, da famiglie, giovani e vecchi. È fatto di persone ma anche di valori, esperienze e storia. Sembra di scorgere l’influenza delle filosofie personaliste del XX secolo in questi pensieri. Perlomeno questo è il punto di contatto che esiste tra la mia formazione, che deve molto a Maritain, e quella del Papa che, pur basata sul personalismo, è anche arricchita da autori sudamericani con una visione particolare del mondo. E questo impasto culturale mi sembra di intravederlo su tre temi a mio avviso fondamentali.

Innanzitutto quando parla di lavoro e Stato sociale. Nella sua visione pastorale il Papa ha maturato la consapevolezza che c’è ormai «qualcosa che non funziona» nell’organizzazione sociale dell’intero pianeta. Qualcosa di profondo e non accessorio. Per questo motivo, Francesco vede l’esigenza di «ripensare la solidarietà» non più come semplice assistenza nei confronti dei più poveri, ma come ripensamento globale di tutto il sistema, come ricerca di vie per riformarlo e correggerlo in modo coerente con i diritti fondamentali dell’uomo, di tutti gli uomini.

In secondo luogo, quando critica, con forza e con originalità, la «colonizzazione ideologica e il pensiero unico» del mondo contemporaneo. «La crisi della famiglia» afferma il papa, con realismo cristiano «è una realtà sociale». Non dobbiamo illuderci che tutto vada bene, fingendo di non vedere ciò che non funziona, oppure elaborando astratte teorie moraleggianti. Se ci comportiamo così rischiamo di non renderci conto di quello che accade attorno a noi. Accanto alla crisi della famiglia, sottolinea il Papa, ci sono infatti le colonizzazioni ideologiche sull’identità delle persone. Francesco non usa mezzi termini e arriva a definire la teoria del gender come uno «sbaglio della mente umana» che crea tanta confusione. Così la famiglia è sotto attacco.

In terzo luogo, infine, mi preme sottolineare il suo pensiero sull’identità europea e le sue radici. Che è assolutamente il contrario di quello che dicono i suoi critici. Francesco non ha paura di criticare l’Europa delle banche e della finanza, l’Europa vecchia e sterile. Ma al tempo stesso, è ben consapevole dell’eccezionale patrimonio storico, religioso e culturale dell’Europa. Di un’Europa unita, su basi nuove e con radici antiche. Per questo conclude il suo discorso di Strasburgo con un vero e proprio appello alla costruzione di una nuova e migliore Europa, che merita di essere letto e ascoltato con attenzione. Dice il Papa: «Cari eurodeputati, è giunta l’ora di costruire insieme l’Europa che ruota non intorno all’economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori inalienabili; l’Europa che abbraccia con coraggio il suo passato e guarda con fiducia il futuro per vivere pienamente con speranza il suo presente. È giunto il momento di abbandonare l’idea di un’Europa impaurita e piegata su sé stessa per suscitare e promuovere l’Europa protagonista, portatrice di fede. L’Europa che contempla il cielo e persegue degli ideali; l’Europa che guarda e difende e tutela l’uomo; l’Europa che cammina sulla Terra sicura e salda, prezioso punto di riferimento per tutta l’umanità!».

Queste parole, come dicevo all’inizio del mio intervento, sono uno stupendo dono del Signore non solo alla Chiesa ma all’umanità intera. Facciamone tesoro e soprattutto buon uso. Non possiamo permettere che un vento grigio di paura, rancore e xenofobia soffi sulla nostra cara Europa. Torniamo a far risplendere sul cielo dell’Europa una luce di pace, concordia e solidarietà. Perché quella luce non è altro che la luce di Cristo