C’è un vizio all’origine del dibattito sulla rinnovata presenza politica dei cattolici. Ovvero, c’è sempre qualcuno che pensa di rappresentarli quasi tutti. Un vizio che non è affatto nuovo nella lunga, accidentata e complessa storia del movimento cattolico italiano. Certo, sino a quando la cosiddetta “unità politica dei cattolici” era un dato quasi scontato – cioè durante l’intera esperienza della Democrazia Cristiana nella prima repubblica, anche se l’unità non è mai stata interpretata come un dogma ma sempre e solo come una precisa condizione storica – il problema quasi non esisteva.
Il tema è scoppiato all’indomani della fine della Dc e con l’avvento del bipolarismo. E, su questo versante, si è affermato con forza e determinazione un principio semplice ma al contempo definitivo. E cioè, il pluralismo politico ed elettorale dei cattolici è diventato un fatto quasi oggettivo da cui non si può più prescindere.
Eppure, malgrado questa semplice e scontata verità politica, non manca affatto la tentazione di coloro che si ritengono depositari esclusivi di questa gloriosa e centenaria tradizione culturale, politica, etica e sociale. Pertanto, non stupisce che si organizzino convegni dove qualcuno si intesta quasi di diritto l’azione di Luigi Sturzo, il magistero di Alcide De Gasperi o addirittura l’esperienza di Aldo Moro. E, peggio ancora, ci sono anche coloro che si ritengono i titolari più autorevoli e più accreditati, in virtù di una misteriosa e singolare legittimazione, a parlare di cattolici in politica e della tradizione che rappresentano.
Un’autoinvestitura che, francamente, è sempre più ridicola e grottesca anche perchè si fa coincidere un pensiero, una cultura politica, un magistero istituzionale e un bagaglio di valori e di principi con alcuni esponenti attualmente impegnati nel campo della sinistra italiana.
Una ambizione certamente ammirevole e degna di nota ma che, come ovvio e persin scontato, non esaurisce affatto il ricco e fecondo magistero del cattolicesimo politico italiano nella sua versione democratica, popolare e sociale. Insomma, per non farla lunga, almeno su tre elementi ci dovrebbe essere una larga e laica convergenza.
Innanzitutto nessuno è titolato a rappresentare in modo esclusivo la tradizione culturale del cattolicesimo politico italiano nell’attuale contesto pubblico italiano. E chi lo fa si rende semplicemente ridicolo.
In secondo luogo occorre prendere atto che il pluralismo politico e, soprattutto, elettorale, dei cattolici italiani è un fatto ormai storicamente acquisito. Chi pensa di metterlo in discussione per i suoi tornaconti politici rischia di trasformare queste operazioni in semplici boomerang che si rivoltano contro al primo appuntamento elettorale.
In ultimo, ma non per ordine di importanza, c’è indubbiamente la necessità di recuperare e riattualizzare l’esperienza dei cattolici in politica partendo anche e soprattutto dal magistero politico, istituzionale, culturale e sociale dei grandi leader e statisti della Democrazia Cristiana. Ma non per impossessarsene goffamente ed irresponsabilmente. Ma per la semplice ragione che, forse, questo recupero critico è utile alla democrazia del nostro paese e allo stesso sistema politico italiano. L’unica cosa da evitare, da battere e da rispedire al mittente è la subdola
concezione di chi si sente il ‘proprietario’ esclusivo di questa tradizione. Un atteggiamento arrogante che non può e non deve più avere cittadinanza.