La nota qui pubblicata s’inscrive nella diffusa ricerca di un nuovo profilo dell’impegno pubblico dei cattolici democratici e popolari. Sangiorgi indica la strada di una federazione (Politica Insieme, Costruire Insieme, Rete Bianca) aperta a ulteriori sviluppi sul piano programmatico, secondo la logica degasperiana di un centro socialmente avanzato, a ulteriori sviluppi sul piano programmatico. A destra, invece, anche gli ex Udc hanno avviato e persino formalizzato un processo di analoga portata, con l’occhio rivolto, in particolare, al superamento della lunga esperienza berlusconiana. Restano due ipotesi distinte, finora sostanzialmente inconciliabili. All’appello manca la determinazione a fare sintesi da parte di un soggetto strutturato – Pd e Forza Italia, nel loro antagonismo, avevano questa originaria ambizione – nonostante la domanda espressa dalla pubblica opinione per una nuova articolazione del quadro politico. Purtroppo il Pd, ovvero l’unica forza in campo che possa ormai fregiarsi del titolo di “partito costituzionale”, stenta a cogliere o meglio a raccogliere l’istanza rigeneratrice del cattolicesimo politico italiano. Dunque, il valore specifico della proposta di Sangiorgi sta nella volontà di non più crogiolarsi nella disamina dell’esistente, visto che mira a stimolare, con intelligenza e passione, un di più di autentica responsabilità. A tutti i livelli. [L. D.]

Cari amici in questi ultimi mesi, diciamo dall’inizio del 2020, ho maturato una progressiva disaffezione verso i nostri tentativi di dare vita a un soggetto culturale politico di ispirazione cristiana. Disaffezione e pessimismo. Il livello delle polemiche interne, delle incomprensioni, delle ripicche personali, con il loro corredo di repliche e controrepliche stizzite, è divenuto insopportabile ed è sotto gli occhi di ciascuno, spettacolo deprimente e penoso del quale, a iniziare da me, tutti dobbiamo vergognarci. E mi sono detto: io abbandono. Lottare contro comportamenti altrui modellati su categorie ideologiche di appartenenza che non si pensa minimamente di discutere è  inutile. Dopo oltre dieci anni di impegno personale, forse i tempi di una nostra ricomposizione organizzativa restano ancora lontani. Meglio lasciare dunque.

Ieri l’altro è stato un lunedì 13 luglio particolarmente caldo, uno di quei giorni estivi che consigliano prudenza specie a chi è avanti con gli anni: meglio restare in casa, e poi ci sono anche i rischi del covid. Ma io avevo un appuntamento, e nel pomeriggio sono andato alla stazione Termini. Alle 17,25, puntuale, al binario sette è arrivato da Firenze il freccia rossa 9421, e dal treno è sceso monsignor Gastone Simoni. Quo Vadis Domine, gli ho chiesto, dopo tutte le sofferenze fisiche e morali che ha patito in questi mesi. Quale ragione aveva di muoversi e di venire da Firenze in un contesto simile. La risposta, espressa non a parole ma con il linguaggio del proprio comportamento, è stata: eo Romam iterum crucifigi.

Penso che non io, ma tutti noi dobbiamo sentirci come l’antico destinatario di quello straordinario messaggio, che oggi don Gastone rilancia con il suo personale dolore per i nostri contrasti, e giochi, e manovre, e supponenze, e rivalità, e polemiche,  e sospetti interni. E spreco di talenti, ha ragione il giovane amico Dante Monda a parlare di spreco di talenti, perché è questo che ci sarà rimproverato. A Roma, all’inizio della via Appia, nel luogo dove la tradizione vuole che il Quo Vadis sia avvenuto, è stata edificata una piccola chiesa, affianco alle catacombe di San Callisto. Non c’è una immagine più eloquente delle catacombe, per descrivere la nostra attuale situazione e la necessità di uscirne. Anche la lettura del Quo Vadis di Henrik Sienkiewicz sarebbe d’aiuto. 

All’apparenza sembra semplice. Basta combinare la motivazione dell’impegno civile dei cristiani di Dietrich Bonhoeffer – i cristiani che stanno con un solo piede sulla terra staranno con un solo piede in paradiso – con il popolarismo di Luigi Sturzo, che ne è la concreta  traduzione politica nella chiave dei liberi e forti. Sappiamo invece quanto tutto questo non sia semplice. Quanto sia complicato raggiungere l’impossibile della politica attraverso quell’altro impossibile, tutto speciale dei cristiani, che è la dimensione del divino. Ma i cattolici che vogliono fare una politica di ispirazione cristiana hanno un senso soltanto se si collocano qui, in questa mediazione fra cielo e terra, fra il destino ultimo dell’esistenza umana e la vita e i problemi quotidiani delle comunità.

Il messaggio di don Gastone Simoni che siamo chiamati a raccogliere è questo. E’ la sfida che poneva Luigi Sturzo: e se si vince, diceva Sturzo, la vittoria è dell’idea, non la nostra.  Se si perde la sconfitta è la nostra, non dell’idea. Il 7 maggio scorso ho ricordato, con un articolo sul Domani d’Italia, i nove anni trascorsi da quando un gruppo di noi, quel giorno del 2011, dette vita intorno a don Gastone, vescovo di Prato, alla Carta d’Intesa, un documento che è stato la madre di una lunga serie di elaborazioni e di passaggi ulteriori che il 30 novembre 2019 sono culminati a Roma nell’assemblea nella quale tre soggetti, Costruire insieme, Politica insieme e Rete bianca, immaginavano di fondersi in una nuova entità, il nome proposto era Partebianca, che insieme li rappresentasse e li superasse. 

Come sappiamo questo passaggio non è avvenuto. A otto mesi di distanza non mi interessa recriminare ancora sul perché il tentativo è fallito e chi lo ha fatto fallire. Una dose di responsabilità l’avremo tutti. Mi interessa invece che non si perseveri sulle conseguenze sciagurate di quel fallimento, comprese le inimicizie, se non addirittura le intolleranze personali che hanno accompagnato la frattura politica avvenuta. Siamo arrivati al punto di volere imporre, da parte di alcuni, le modalità di incontri con alcuni soggetti ma escludendone altri, arrogandosi la verifica delle compatibilità  fra i diversi soggetti.  

Don Gastone ieri al suo arrivo a Roma era provato da tutto ciò. Mentre gli andavo incontro nel caldo della stazione pensavo alla sua amarezza per questa situazione. E però appena abbiamo iniziato a parlare, ciò che colpiva era invece la dolce testardaggine con la quale continua a ricercare il dialogo, incontra e parla con tanti di noi, sale sui treni, non si risparmia, consuma le sue forze: eo Romam iterum crucifigi. Questo porta a due considerazioni. La prima è la dignità, la nobiltà d’animo, la passione politica che muove quest’uomo. La seconda è che eo Romam iterum crucifigi  spetta a noi, non a lui: è la nostra strada in salita, è la nostra parte di responsabilità e di impegno che deve escludere prosopopee personali e intime convinzioni di essere i migliori, i predestinati a chissà quale destino politico. Diceva Aldo Moro che è il nostro contributo di laici, se ne siamo capaci, a dire una parola politica degna dell’altra Parola. 

Faccio un appello a questi tre figli di Abramo che sono Costruire insieme, Politica insieme, Rete bianca, e gli altri soggetti individuali e collettivi che vogliano unirsi a una simile iniziativa. Nell’attesa della costituzione del soggetto unitario che resta il nostro obiettivo, diamo vita intanto un coordinamento di tipo federativo. Centriamolo su tre riferimenti certamente comuni, la Costituzione, l’Europa, la Dottrina Sociale della Chiesa. Dall’intreccio di questi tre riferimenti ricaviamo la nostra idea di una società inclusiva, di istituzioni partecipative, di uno sviluppo del Paese solidaristico. Scegliamo subito almeno tre primi temi che, per il loro valore emblematico,  siano esplicativi di un tale intreccio, gli altri verranno a seguire : 

– l’immigrazione come cartina di tornasole dei più generali problemi ai quali sta andando incontro la società italiana nel suo complesso; 

– il Parlamento e il sistema istituzionale nel suo insieme rispetto al referendum confermativo della riduzione dei parlamentari;

– la concreta attuazione della riforma del no profit e delle altre forme produttive collegate, dentro una visione di sviluppo  economico che sappia conciliare  profitto e solidarietà; 

I temi vanno affrontati seguendo un eguale schema narrativo, composto dalla 1) enunciazione del problema, 2) la sua collocazione nel contesto del Paese, 3) le criticità che ha, 4) le proposte per superarle, 5) una bibliografia di approfondimento. La definizione nel concreto del problema e delle proposte relative, sarà la migliore smentita di quanti possano sospettare che il coordinamento federativo nasconda aprioristicamente una collocazione di destra o di sinistra, sospetto al centro di molte nostre polemiche. La identità politica sarà definita dalla qualità delle proposte, da tramutare in petizioni parlamentari, per entrare nel gioco delle dinamiche e del confronto politico all’interno delle istituzioni rappresentative. 

Io le chiamo le “schede della democrazia”. Nel loro insieme costituiranno una ritrovata cultura di governo, che darà luogo  a una proposta di governo, che a sua volta renderà necessaria una organizzazione politica che la supporti. Questi sono i passaggi. Fare l’inverso non vuole dire bruciare i tempi, ma perderli. Nei mesi scorsi si è cercato da più parti, all’interno delle nostre associazioni,  di mettere a fuoco diversi problemi del Paese. Adesso è necessario un metodo di comunicazione delle proposte elaborate, secondo lo schema narrativo delineato, per evitare la babele dei linguaggi e delle proposizioni. Questo richiede un gruppo di coordinamento specifico.

Questo lavoro comune non pregiudica in nessun modo il fatto che uno dei tre figli di Abramo, o tutti e tre, o altri soggetti ancora, vogliano strutturarsi parallelamente al loro interno con assemblee costituenti, e altre modalità organizzative se avvertono una tale necessità. Però, contemporaneamente, aderendo alla federazione, partecipano a un processo aggregativo e propositivo più ampio e rappresentativo, maggiormente in grado di diventare un riferimento politico attrattivo e di confronto, nella straordinaria situazione attuale del Paese e dell’Europa. 

Proviamo.