Il tema dell’eredità dei grandi leader politici e statisti del passato è un argomento sempre complesso e ancora molto dibattuto. È stata sufficiente la chiara provocazione del capo della Lega Salvini sull’eredità politica ed elettorale del partito di Berlinguer per riaccendere i riflettori su un capitolo che è destinato a non spegnersi mai. 

Ora, nessuno crede, mi pare, alla tesi che spostando la sede della Lega in un palazzo di via delle Botteghe Oscure a Roma automaticamente si innesca il meccanismo della potenziale eredità politica di quel che fu il Pci da parte dei leghisti. Ma è indubbio che sulla presunta esclusiva della eredità politica, culturale e morale di singoli leader e statisti del passato nessuno riesce a fissare punti fermi. Anche se, almeno tre su aspetti, non ci dovrebbero essere svariate interpretazioni e molteplici letture. 

Innanzitutto non si può essere eredi, o candidarsi ad essere tali, quando si è sostanzialmente e storicamente estranei a quella cultura. Per fare due soli esempi – tra i tantissimi su cui ci potremmo cimentare – un esponente dell’attuale destra e centro destra italiano non può, se è accompagnato da un minimo di onestà intellettuale, candidarsi ad essere un potenziale erede della tradizione storica, culturale ed ideologica della sinistra italiana. Sia nella versione ex comunista sia di quella socialista, salvo esercitarsi in continue e ripetute capriole divertenti e simpatiche nel dichiarare la propria fedeltà al patrimonio storico di quel campo politico. Come, d’altronde e specularmente, sarebbe curioso se qualche esponente attuale della sinistra italiana volesse intestarsi il magistero politico e culturale di leader e statisti della Dc. Esponenti della sinistra interna di quel partito o, peggio ancora, delle componenti moderate e conservatrici della Democrazia Cristiana. Ci sono dei percorsi nella vita politica che non sono intercambiabili a piacimento, a seconda delle convenienze del momento e in ossequio alla prassi trasformistica che ormai è diventata la cifra quasi esclusiva dell’attuale geografia politica italiana. Un minimo di decoro, almeno in apparenza, va ancora mantenuto. 

In secondo luogo i sostenitori e i teorici dell’”anno zero”, della “rottamazione” o del “vaffa day” non potranno mai ergersi ad interpreti di qualche cultura politica e, nello specifico, di alcuni grandi leader e statisti del passato. E ciò per una ragione molto semplice se non addirittura banale. Ovvero, chi pensa che l’esperienza politica nuova e post ideologica parte con la propria esperienza o con la propria discesa in campo non è titolato anche per essere interprete di qualsiasi filone ideale o culturale del nostro paese. Se il filo rosso che accomuna i sostenitori dell’anno zero, cioè della tesi che va raso al suolo il passato seppur con modalità leggermente diverse ma comunque simili nella declinazione concreta dell’azione politica, è persin ovvio che per costoro le culture politiche, tutte le culture politiche, sono solo un intralcio e un ostacolo per il dispiegamento del proprio progetto politico. Che poi, detto tra di noi, non è nient’altro che uno spregiudicato disegno di potere che si manifesta con un partito personale guidato da un capo al quale viene appaltato praticamente tutto ciò che è riconducibile alla concreta attività politica di quel cartello elettorale. Altrochè eredi di statisti e leader del passato. 

In ultimo, il valore, la valenza e la qualità delle culture politiche. Se penso, tanto per fare un esempio della mia area culturale, alla tradizione del cattolicesimo politico e sociale italiano, non credo che questo filone ideale possa essere allegramente interpretato e richiamato da chicchessia perchè in un tale discorso o in un intervento fa un richiamo esplicito e diretto a quella tradizione. Se tutto fosse così semplice e scontato non avremmo che l’imbarazzo della scelta nell’elencare i molteplici eredi politici e culturali di 

quella tradizione ideale e storica. Penso a tutti coloro che comicamente continuano a rifarsi alla tradizione della Democrazia Cristiana per giustificare il proprio modo d’essere nella politica italiana. Esponenti e semi leader che della Dc ricordano a malapena l’esistenza concreta nell’altro secolo…. Ma, per tornare alle culture politiche, è indubbio che si può, seppur con molti limiti e saggia prudenza, continuare a rifarsi a quelle correnti di pensiero purchè ci sia una coerenza nel percorso quotidiano di chi lo dice pubblicamente. Ovvero che nella concreta azione politica da un lato e nella ricerca costante – con l’approfondimento e il dibattito – della sua attualità e contemporaneità dall’altro ci sia una coerenza di fondo. Anche nel comportamento. Solo così potremmo credibilmente sostenere che le culture politiche continuano a fecondare concretamente la politica nelle sue multiformi espressioni. 

Perchè limitarsi a richiamare il magistero di quel leader o di quella cultura politica senza neanche conoscerli, leggerli, approfondirli e discuterli, oltrechè un’azione di disonestà intellettuale si corre anche il rischio di alimentare ulteriormente il distacco dalla politica e, soprattutto, di ridicolizzare le stesse fondamenta ideali della nostra repubblica e della nostra Costituzione.