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martedì, Aprile 1, 2025
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Cattolici popolari e sociali, come uscire dal gregariato?

Occorre un profilo autenticamente e credibilmente centrista; un impianto seriamente riformista e con una spiccata cultura di governo; e, infine, partiti che mostrino una coerente adesione ai valori e ai principi costituzionali

Uscire dal gregariato è l’operazione più difficile nel cammino dei cattolici che stanno riscoprendo lentamente ma responsabilmente un rinnovato impegno pubblico e politico. Certo, dopo anni di immobilismo, di emarginazione e, nella migliore delle ipotesi, di sostanziale irrilevanza nei rispettivi partiti di appartenenza, è difficile – molto difficile – invertire la rotta. Anche perché dopo il consolidamento delle rendite di posizione è anche difficile mettere in discussione queste comodità personali e di gruppo. E cioè, semplicemente sentirsi soddisfatti di ottenere una manciata di seggi parlamentari in cambio della fedeltà al capo partito di turno. Un po’ quello che capitava con l’ormai datata esperienza – ma sempre attuale, purtroppo – dei cosiddetti “cattolici indipendenti di sinistra eletti nelle liste del Pci” negli anni ‘70.

Ora, la vera sfida per tutti coloro che coltivano l’obiettivo di inverare, seppur mutatis mutandis, il pensiero e la cultura del cattolicesimo democratico, popolare e sociale nella cittadella politica contemporanea è proprio questa. Ovvero, non limitarsi, e per l’ennesima volta, ad assolvere al ruolo di predicatori astratti e virtuali dei valori. Un’operazione indubbiamente importante ma drasticamente insufficiente ai fini di saper condizionare il progetto politico complessivo di un partito. Come ovvio, nessuno pensa di riproporre un rinnovato “partito di cattolici”. Ma molti pensano, me compreso, di rendere la cultura politica di questa tradizione ideale nuovamente protagonista nel dibattito all’interno dei partiti e nelle rispettive coalizioni. Perché il limite di fondo, dopo l’avvento – abbastanza inevitabile – dei cosiddetti “partiti plurali”, resta quello di non saper incidere nelle dinamiche politiche concrete e, soprattutto, con la capacità di saper condizionare e costruire il progetto politico. Appunto, un ruolo sempre marginale, periferico e del tutto ornamentale. E, di fronte a questo limite, le risposte sono, almeno sino ad oggi, alquanto approssimative ed incerte. 

Certo, si tratta di un protagonismo che non può essere declinato – seppur nel pieno rispetto di tutte le opinioni – all’interno di partiti o di contenitori elettorali che sono quasi antropologicamente alternativi a questa cultura. E penso, nello specifico, ai partiti radicali, massimalisti, estremisti e, men che meno, a quelli di matrice populista o sovranista. E, al riguardo, forse è anche giunto il momento per dirci con chiarezza che questa cultura politica antica ma sempre moderna può essere declinata realmente ed efficacemente solo nei partiti che rispondono a tre requisiti di fondo. E cioè, un profilo autenticamente e credibilmente centrista; un impianto seriamente riformista e con una spiccata cultura di governo; e, infine, partiti che abbiano una profonda e coerente adesione ai valori e ai principi costituzionali. Non esiste, francamente, la possibilità di essere credibili e realmente interlocutori nei partiti che non rispondono a questi pre requisiti politici e culturali.

Ecco perché il tema di un rinnovato e laico protagonismo politico dei cattolici non può non tener conto di alcune condizioni essenziali che caratterizzano l’attuale dibattito politico nel nostro paese. Ed è proprio tenendo conto di queste costanti che sarà possibile riscoprire le ragioni e la passione per rilanciare responsabilmente la tradizione, il pensiero, la cultura, la prassi e forse anche lo stile del cattolicesimo democratico, popolare e sociale nella cittadella politica italiana.