Cazzullo e De Gasperi: valgono le categorie di destra e sinistra?

Lo statista trentino non vorrebbe nemmeno essere di centro. Dunque applicare a lui, in forma statica, rendendolo prigioniero di uno schematismo di cui siamo responsabili soltanto noi, quello appunto di destra-e-sinistra, è erroneo.

Guardiamo la realtà di oggi: il raggruppamento autoproclamatosi di centro-destra per presentarsi in forma persuasiva alla platea degli elettori ha vinto le elezioni e governa. Il restante coacervo di forze politiche, che le cronache ci insegnano quanto sia difficile chiamare di centro-sinistra, è all’opposizione. La dialettica tra le due parti del Parlamento è quanto mai sgangherata: è ‘televisiva’, assumendo che la televisione in quanto tale sia sinonimo di anti-cultura e di anti-pensiero pur di riempire alla bell’e meglio un palinsesto. Noi come pubblico non riusciamo a ricevere un contributo che si segnali per profonda conoscenza storica, riflessione maturata sufficientemente a lungo, intelligenza delle interpretazioni. 

Una circoscritta eccezione, fuori dalla battaglia politica e fuori dal l’accademia, è costituita dalla serie televisiva storica delle “Giornate Particolari” di Aldo Cazzullo. Ora, Cazzullo si cimenta con un nodo critico relativo alla biografia di De Gasperi e al senso complessivo del suo operato: dobbiamo guardare all’ispirazione del leader trentino come “di destra” o ”di sinistra”? La prossima volta che ci si voglia porre l’interrogativo su destra e sinistra riconducendo il tema a ottant’anni fa, chiedendosi chi allora era di destra e chi di sinistra, occorre mostrare minore semplificazione e maggiore cautela: ricordiamoci che De Gasperi è stato ed è ‘quello che egli ha fatto’. Destra e sinistra sono degli a priori, non dei fatti. De Gasperi, come Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele II, Mazzini, è un vero unico padre della patria, un signore salito molto in alto, più di tutti, nel pantheon dei grandi italiani per la visione e per i valori che ha concretamente espresso e tradotto in realtà (tra i quali valori, va ripetuto, non possono esserci né destra e sinistra, né partiti). 

Chi oggi ricorda più a quale partito fossero iscritti Cavour (liberale), Garibaldi (azionista), Mazzini (azionista), Vittorio Emanuele II (monarchico)? Ed è giusto sia così. Giulio Cesare e Licinio Crasso, Pompeo e Cicerone, Clodio e Catilina erano esponenti di vertice dei loro rispettivi partiti. Nella storia, questi partiti – che erano “di destra” e “di sinistra” – sono giustamente scomparsi. Per provare a misurarci con un paradosso, si ricordi la tradizionale decodifica popolare di Cavour e di Vittorio Emanuele II come “di destra” e di Garibaldi e Mazzini come “di sinistra”. 

Un personaggio studioso di storia e acuto come Aldo Cazzullo non troverebbe soverchia difficoltà, ricordando certi episodi e nuances di autoritarismo nello stile di comando di Garibaldi e Mazzini, ascriverli a una vocazione “di destra”, mentre magari Cavour e Vittorio Emanuele II, per un loro spirito umanitario in politica, per la loro sensibilità allo sviluppo delle infrastrutture, per la fedeltà assoluta all’ideale democratico, li si potrebbe ascrivere a una sensibilità “di sinistra”. Sarebbe un errore mettere avanti le macchine-partito nella rievocazione e nei significati delle grandi anime consegnate alla storia. 

È soprattutto un grave errore voler giudicare un uomo campione assoluto dell’anti-ideologia come Alcide De Gasperi introducendo un riferimento ideologico e strettamente di estrazione politico-partitica come destra/sinistra. Per capirci, De Gasperi non attribuiva alcuna rilevanza all’essere di destra o di sinistra. Lo considerava anzi un preludio al peggio. È per questo che egli decide di fare un dono agli italiani: la Democrazia Cristiana. Il programma è di tenere il partito esente sia dal peccato di essere di destra che da quello di essere di sinistra. (Peccato che dopo sono venuti i democristiani preoccupati di essere di destra e di sinistra). Come manifesta il leader trentino la traduzione in pratica di un siffatto approccio? Lui, che fin da giovane età è coinvolto nella passione politica intesa come azione di tutela anche antropologica della comunità che lo ha eletto – certamente in chiave di interessi, ma soprattutto (udite udite) di morale e di destino -, decide di affiancare alla politica, con notevole sforzo, un alter ego di questa: la prepolitica. 

 

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