Si continua a parlare del “centro”. Politico, culturale, istituzionale, di governo. Persin religioso se non addirittura etico. Si continua a sostenere la tesi che le elezioni si “vincono solo al centro” e, al contempo, si nega alla radice qualsiasi possibilità di dar vita ad un “partito di centro”. Una contraddizione in sè eppure il “centro” resta un elemento costitutivo nella dialettica politica contemporanea.
Ora, per uscire da questo strano tormentone, almeno su 4 elementi ci dovrebbe essere un accordo di massima. O almeno di maggioranza.
Innanzitutto a nulla servono le molteplici bandierine che periodicamente nascono con l’ambizione di rappresentare il centro politico. Esperienze elettoralmente fallimentari che si rivelano del tutto autoreferenziali nonchè politicamente inutili e sterili. Ne abbiamo conosciute in questi ultimi anni a decine e, purtroppo, ne continuano a nascere a grappoli. Esperienze che sono nate e decollate tanto sul versante conservatore quanto su quello riformista accomunate però dal filo rosso della inconsistenza politica.
In secondo luogo anche – anzi soprattutto – nel campo del “centro” è necessaria una elaborazione culturale e politica. Ovvero, va ripristinata la categoria del “pensiero”, per dirla con un vocabolo caro al presidente De Mita. Del resto chi arriva dall’esperienza del cattolicesimo democratico e popolare sa bene che il “centro” non è mai stato una “posizione geometrica”, inerziale e riconducibile ad una pura rendita di posizione, ma è sempre stato il frutto e la conseguenza di una elaborazione politica, culturale e di governo. Dunque, un progetto politico.
In terzo luogo il capitolo delle alleanze. Noi arriviamo da una tradizione dove la politica è sempre stata sinonimo di “politica delle alleanze”. Ovvero, si può e si deve declinare una “politica di centro” solo se se si incardina in una precisa e coerente coalizione. Cioè in una alleanza politica. Il “centro” non può diventare il luogo del trasformismo politico e parlamentare come accadde oggi. E quindi dev’essere un luogo che sceglie. Per capirci, l’esatto contrario di ciò che fa, per citare un solo esempio, il partito personale di Renzi. Cioè un misto di spregiudicatezza, di avventurismo, di radicale assenza di coerenza e di trasformismo politico e parlamentare.
In ultimo la “passione”. Ovvero, non un richiamo teorico o retorico ma la “passione” come precondizione per dispiegare una posizione politica e un progetto di governo che non siano solo riconducibili a ragioni di convenienza tattica e momentanea. Senza il recupero della “passione”, cioè della militanza e della profondità intellettuale ed umana, anche un progetto politico rischia di essere arido e sterile.
Ecco perchè attorno al futuro del “centro” si deve continuare a parlare, a discutere e a confrontarsi. Senza interruzioni e senza reticenze. Per il bene della politica italiana, della qualità della democrazia, della cultura di governo e della stessa credibilità delle istituzioni democratiche.