Articolo già pubblicato sulle pagine della rivista “Lo Spiffero”
Cento anni dalla nascita del Partito Popolare e trecento circoli in tutto il Paese da cui ripartire nel segno, ovviamente rinnovato, tracciato da don Luigi Sturzo il 18 gennaio del 1919. E proprio a quei Liberi e Forti, cui un secolo fa si rivolse la commissione provvisoria del Ppi nel manifesto fondativo, saranno intitolati i circoli, già in nuce nel progetto di Rete Bianca avviato da qualche tempo prodromici a quella che viene annunciata come la nascita di soggetto politico, indispensabile passaggio del popolarismo da testimonianza morale ad impegno diretto e concreto nella politica, ad ogni livello.
“È la proposta politica, culturale ed organizzativa che raccoglie anche la forte e diffusa domanda per una rinnovata presenza politica dei cattolici italiani nella società contemporanea”, dice l’ex parlamentare del Pd Giorgio Merlo spiegando la ragione della lettera sottoscritta insieme al collega Lucio D’Ubaldo e indirizzata a Pierluigi Castagnetti, presidente dell’associazione “I Popolari” e figura storica di quell’anima sturziana che è transitata dalla Dc, al nuovo Ppi, alla Margherita e infine al Pd.
Nella lettera, che se non è un vero e proprio manifesto certo può esserne il forte canovaccio, Merlo e D’Ubaldo, rivolgendosi a uno dei padri nobili di un Pd sempre più preda indifesa (e forse indifendibile) di travagli interni, puntano l’indice come accadde cent’anno fa per “l’ora grave”, contro “il populismo dilagante”. Il quale “deve trovare un argine nel popolarismo”. Ecco, perchè “la nostra funzione, in questo momento, non può limitarsi perciò alla semplice testimonianza morale. Se non interveniamo, il Paese è destinato a irretirsi nella girandola di sogni, frustrazioni e malcontento”.
L’ex deputato torinese, non elude il ragionamento sul centro, anzi lo indica come una risposta alla politica populista e sovranista, urlata e fatta di slogan: “dato per morto, percepito e definito come un non luogo della politica attuale, il centro invece si riscopre, agli occhi di molti osservatori, come un ancoraggio vitale per salvare e rinnovare la democrazia”.
C’è, per i popolari, uno spazio da rappresentare “che, in nostra assenza – come scrive a Castagnetti – altri sarebbero motivati a occupare, ma sarebbe quello un popolarismo snaturato, messo cioè a repentaglio da una visione angusta, di segno genericamente anti-progressista, e da una coscienza unilaterale della crisi, fatalmente contigua al sovranismo”.
Il risultato sarebbe quello di “far venire avanti la suggestione di una nuova destra alla ricerca di una sorta di controfuturo dell’Occidente, per sfuggire come che sia alla tenaglia del declino. Finora – osserva Merlo – in Italia, questa prospettiva ha sempre incrociato l’alternativa dei popolari fedeli alla lezione di Sturzo, De Gasperi e Moro. Tale punto di contrasto rappresenta ancora il confine da presidiare”. Ma come, nel quadro politico attuale dove i post di ministri che mangiano Nutella e di vice che fanno sfoggio un giorno sì e l’altro pure la loro infinita ignoranza e un’opposizione ancora avviluppata da beghe interne che paiono senza fine?
“La nostra idea è che sul territorio andrebbe incentivata l’azione di uomini e donne interessati alla corretta rilettura del popolarismo. Il problema non è sapere a priori quale possa essere la formula più adatta, ma sperimentare semmai la maniera più generosa ed efficace d’intendere la riscoperta dell’autonomia del mondo “democratico e cristiano”. Tradotto: per le elezioni europee si deciderà nelle prossime settimane se provare un’ardua proposizione di liste o aderire a formazioni le più affini. Diversa è la prospettiva per le prossime regionali in Piemonte: “Abbiamo già concordato il nostro appoggio e la nostra presenza, con amministratori locali, alla lista civica di Sergio Chiamparino”, spiega Merlo, confermando che l’argine popolare al populismo lo si deve erigere ovunque.
“Ad uno Stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sul terreno costituzionale sostituire uno Stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali, la famiglia, le classi, i Comuni, che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private”. Parole non di oggi, da di un secolo fa. Quelle dell’appello ai Liberi e Forti.