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venerdì, 26 Dicembre, 2025
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Ceruti e il paradosso del nostro tempo: forti eppure fragili

Su “L’Eco di Bergamo” (14 dicembre) una riflessione del prof. Mauro Ceruti a riguardo del destino dell’umanità nell’Antropocene: potenza, interdipendenza e rischio globale si intrecciano, imponendo un nuovo umanesimo della responsabilità. Ecco una sintesi.

L’articolo di Mauro Ceruti, pubblicato il 14 dicembre su LEco di Bergamo nella rubrica “Agorà”, affronta con rara chiarezza uno dei nodi decisivi del nostro tempo: il paradosso di un’umanità mai così potente e mai così esposta al rischio della propria autodistruzione. Forti eppure così fragili nel nostro unico destino non è soltanto un titolo efficace, ma una sintesi rigorosa della condizione storica in cui siamo immersi.

La fine dellillusione del dominio

Ceruti colloca l’inizio del XXI secolo sotto il segno dell’Antropocene, l’epoca in cui l’impatto umano sulla Terra diventa decisivo per il futuro della specie. Ma proprio questa centralità segna il crollo di un’illusione: quella di un progresso lineare, fondato sul controllo tecnico della natura e sulla presunta autosufficienza delle società avanzate.

Pandemie, crisi ecologica, ritorno della guerra in Europa e minaccia nucleare mostrano come la potenza accumulata si trasformi in vulnerabilità sistemica. Non esistono più crisi isolate: tutto è connesso, tutto si propaga.

 

Regressioni identitarie e semplificazioni pericolose

Alla scoperta di questa fragilità strutturale, osserva Ceruti, non segue automaticamente una presa di coscienza collettiva. Al contrario, si diffondono risposte difensive: nazionalismi, fondamentalismi, identitarismi chiusi, negazionismi scientifici. È la tentazione di rifugiarsi in spiegazioni semplici, mentre la realtà chiede pensiero complesso.

Qui emerge uno dei nuclei più forti della riflessione cerutiana: senza una cultura della complessità, la democrazia stessa rischia di impoverirsi, perché incapace di governare fenomeni globali che non si lasciano ridurre a slogan.

 

Interdipendenza come destino e come scelta

Il punto di approdo dell’articolo è netto: l’interdipendenza non è un’opzione ideologica, ma una condizione storica irreversibile. Riconoscerla significa assumere una responsabilità nuova verso l’umanità nel suo insieme e verso il pianeta.

Non a caso Ceruti richiama il magistero di Papa Francesco, che ha saputo tradurre tale consapevolezza in un linguaggio etico e politico accessibile: fraternità, cura della casa comune, pace come costruzione paziente. In questo orizzonte, l’affermazione “nessuno si salva da solo” non è uno slogan, ma una diagnosi realistica.

 

Una riflessione che interpella la politica e la cultura

L’intervento ospitato da LEco di Bergamo si impone così come una bussola per il dibattito pubblico. Non offre soluzioni immediate, ma indica il terreno su cui esse possono nascere: una rinnovata coscienza umanistica, capace di tenere insieme sapere scientifico, responsabilità politica e visione morale.

È una lezione che merita ascolto e continuità, perché parla non solo del nostro presente, ma della possibilità stessa di un futuro condiviso.