Il filosofo e psicoanalista lionese Roland Chvetzoff, in un intervento apparso sul sito de “La Croix”, riflette sul fascino ambiguo di ChatGPT e degli agenti conversazionali. Mentre la sofferenza psicologica cresce, soprattutto tra i giovani, queste macchine offrono un ascolto senza giudizio, rapido e sempre disponibile. Ma proprio l’assenza d’errore, di esitazione, di corpo, finisce per svuotare la parola della sua verità.
La relazione umana, ricorda Chvetzoff, vive invece dell’imperfezione: della pausa, del dubbio, del rischio di non essere capiti. È nell’“inciampo” del linguaggio che l’altro diventa reale.
La trappola della madre amorevole
ChatGPT si presenta come una presenza accogliente, una “madre amorevole” pronta a comprendere tutto. Ma in questa promessa di protezione totale – osserva Chvetzoff, evocando La promessa dell’alba di Romain Gary – si annida il pericolo di una dipendenza affettiva. La macchina non conosce la mancanza, non tollera il conflitto, non lascia spazio al desiderio.
Nel suo linguaggio perfetto e illimitato, l’Altro – quello vero, fatto di alterità e di resistenza – svanisce. La parola diventa un flusso di dati, lo scambio umano un simulacro.
Il valore del fallimento
Contro la tentazione del dialogo “senza attrito”, Chvetzoff richiama la lezione della psicoanalisi: lo psicoanalista non risponde per riempire, ma per aprire. Accoglie la mancanza, non la colma. La macchina, invece, corregge, chiarisce, riformula: mette a tacere ciò che ci fonda, la nostra divisione interiore.
“Mai altro. Ho provato. Ho fallito. Riprova. Fallisci meglio”, scriveva Beckett. È in questo fallire meglio che si misura l’umano. L’intelligenza artificiale, utile come strumento, diventa minacciosa solo quando si sostituisce all’interlocutore.
Il compito, conclude Chvetzoff, spetta a noi: ricordare che la cura, l’educazione e il dialogo non sono fatti di risposte perfette, ma di silenzi condivisi e fragilità accolte.