Un manifesto per il liberalismo, per una “ rinascita” liberale. Questo l’impegno del The Economist determinato ad affrontare la crisi di quella visione etico politica grazie alla quale l’umanità ha segnato il passaggio dall’assolutismo alla democrazia, dai sistemi economici feudali al mercato.
Il liberalismo ha contrastato il socialismo e plasmato a lungo il mondo fino a portare a quella che chiamiamo globalizzazione.
A sua volta, è stato contrastato dal cattolicesimo. Prima, duramente, lungo tutte le stagioni dei “ Lumi e del razionalismo, della Rivoluzione francese e dei tanti “ risorgimento” fioriti in Europa e nell’America latina, a partire dalle prime decadi dell’800. Molto ha inciso la “ Questione romana” e la soppressione del potere temporale della Chiesa.
I cattolici, dopo, ne hanno arricchito e superate le visioni. Soprattutto dopo la Rerum Novarum, per l’esigenza crescente di allargare alla dimensione sociale l’afflato della libertà e della democrazia, tanto più complesso ed articolato stava divenendo il cammino umano.
Il giornale londinese compie 175 anni, vende oltre 1,6 milioni di copie ogni settimana. Si tratta di lettori non comuni, visto che è rivolto a finanzieri, bancari, manager, imprenditori. E’ in mano alla famiglia Agnelli che, esattamente due anni fa, nell’agosto 2015, è salita al 43,3 % della quota azionaria.
E’ da tempo che The Economist si dedica alla crisi della filosofia liberale denunciando il ribaltamento “ del suo spirito iniziale e della sua forza ispiratrice” fino a diventare, come scritto con un altro corposo intervento lo scorso 12 giugno, “ l’opposto di quello che era quando è iniziato”.
“E’ ora di rimetterlo in piedi” è il messaggio del giornale londinese che lancia addirittura un manifesto a livello mondiale affinché il liberalismo riscopra la forza propositiva originaria di una ideologia, unica sopravvissuta dopo la fine di quella comunista.
Un discorso a parte meritano le visioni sociali e politiche del cattolicesimo democratico il quale non può essere considerato una costruzione di pensiero di natura ideologica, nel senso che l’ispirazione cristiana non ha mai preteso di disegnare ed imporre schemi rigidi di costruzioni istituzionali o di operatività economica.
Possiamo essere certi che il lancio di un tale manifesto da parte di un settimanale nato quasi due secoli orsono, proprio per promuovere e sostenere il liberalismo, non cadrà nel vuoto.
L’impressione è che dietro questa iniziativa ci sia dell’altro. Ancora da definire, forse. Constatiamo, comunque, che siamo di fronte ad un richiamo affinché il mondo del liberalismo si organizzi per contrastare la visione “ elitaria” dei neo conservatori, quella alla base del pensiero e dell’agire dei responsabili della finanziarizzazione, e, allo stesso tempo, quelle forze populiste che il settimanale economico vede come diretta conseguenza dell’agire dei primi.
In realtà, il termine finanziarizzazione non è utilizzato dal foglio londinese e il perché, e le riflessioni che ne derivano, le esaminerò successivamente.
Tra le due spinte contrapposte, elitarismo e populismo, si colloca in maniera evidente la preoccupazione di una parte del mondo capitalistico. Essa porta The Economist a sottolineare la necessità di sviluppare un “impegno universale per la dignità individuale, mercati aperti, governo limitato e una fede nel progresso umano determinato sulla base del confronto e delle riforme”.
Altrimenti, sempre più vera apparirà, dice il settimanale, l’amara constatazione che “ il liberalismo ha fatto il mondo moderno, ma il mondo moderno si sta rivoltando contro di esso” perché ha perso la fede laica nel futuro.
La risposta a tutto ciò può venire, per i sostenitori del ritorno allo spirito liberale originario, da uno Stato più impegnato a favore del cittadino “ rivedendo pratiche fiscali, il sistema del welfare, l’istruzione e l’immigrazione. L’economia deve essere liberata dal crescente potere dei gruppi monopolisti e dalle restrizioni che impediscono alle persone di partecipare alla vita delle città più prospere”.
Questa la sostanza dell’appello dei sostenitori londinesi del liberalismo.
E’ chiaro che noi seguiamo con interesse la riflessione in atto tra coloro che vogliono riscoprire il patrimonio originale di una visione ideologica che tanto ha segnato la storia umana.
Del resto, il confronto con l’ideologia liberale ha finito per rafforzare nel cattolicesimo democratico la convinzione che si dovesse riscoprire nel profondo il messaggio evangelico della libertà.
“ L’uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà”, dice la Gaudium et Spes, che “ Dio gli ha dato come segno altissimo della Sua immagine”, chiosa il catechismo della Chiesa cattolica.
Così, la libertà, per un cristiano, sia pure originata dal rapporto dell’essere umano con il divino, finisce inevitabilmente per riversarsi nel dispiegare secolare della presenza umana e così, per dirla con Maritain, le “ energie del Vangelo passino nella vita terrena” .
Se la questione della libertà e delle libertà diventano oggi cruciali per le donne e gli uomini contemporanei, significa che con il liberalismo i cattolici democratici trovano un ampia area di convergenza e collaborazione. Di essa, del resto, furono anticipatori Sturzo e Gobetti, tanto per fare un solo esempio sullo scambio fecondo intervenuto nel tempo tra sinceri liberali ed altrettanto sinceri democratico cristiani.
Vi è anche da considerare, in aggiunta, la necessità che il superamento delle visioni e degli schematismi ideologici non significa che i riferimenti ideali debbano essere considerati negletti e messi da parte. Anzi, la nostra società ha bisogno di quel di più che solo le idee possono garantire con tutta la loro carica di ricchezza e varietà.
Ciò premesso, il ragionamento del The Economist corre un limite ed un pericolo.
Il limite è che la crisi del liberalismo sia vista solamente in connessione con la forma elitaria in cui si è andato inaridendo ed espandendo il capitalismo moderno.
In realtà, con la “ cattiva finanziarizzazione”, di cui ha parlato anche il recente documento vaticano “Oeconomicae et pecuniariae questiones”, e con la rendita finanziaria che rischia di soppiantare quella da lavoro, ci si trova di fronte ad una vera e propria trasformazione di quel liberalismo con cui sembra perduta ogni aderenza.
Il pericolo è quello che tutta questa analisi sia destinata a tradursi in una operatività politica limitata. Prevedendo, ad esempio, un impegno contro le espressioni politiche dei cosiddetti populismi senza andare al fondo dei problemi sociali che li originano e li sostengono. Forse, già a partire dalle prossime elezioni europee per le quali si potrebbe giungere a pensare di organizzare dei “ fronti” da contrapporre a quelle pulsioni nazionalistiche e di esclusiva critica aprioristica le quali, invece, per essere contrastate validamente richiedono nuove politiche indirizzate verso una redistribuzione della ricchezza, un’attenzione alle difficoltà che incontrano i tanti gruppi sociali, divisi ed emarginati, a partire da quei ceti medi e quelle categorie che pure tanta attenzione hanno al problema delle libertà e della partecipazione attiva alle dinamiche sociali ed economiche in maniera non costretta e subordinata.
Alla crisi del liberalismo i cattolici democratici dovrebbero rispondere aumentando la loro capacità di presenza e di proposta.
Lungo quella via del tutto originale e ricca che punta all’allargamento delle libertà e irrobustisce la democrazia sulla base di un’attenzione non all’individualismo, ma alla Persona; proponendo uno Stato di cui non si allargano o si riducono peso e competenze a seconda delle convenienze, ma cercando di definirne il ruolo quale strumento che la comunità, le tante comunità che creano la società, si dotano in vista del “ bene comune”; operando per raggiungere un’autentica equità sociale presupposto ineludibile per dare alla libertà un significato sostanziale.