Ci sono brutte trasformazioni architettoniche e urbanistiche che incidono sul nostro habitat, ferendo la bellezza dell’Italia. Cosa è il genius loci? E’ lo spirito impalpabile che conserva un luogo e gli conferisce specificità: farne a meno in nome del profitto (ricavare e vendere uno o due appartamenti in più) significa lasciare per strada ciò che abbiamo ricevuto dal passato e che aveva un senso.
Chi va a trascorrere le vacanze in Alto Adige e magari lo fa da diversi anni si sta accorgendo di come stia cambiando il volto degli agglomerati urbani delle valli e dei luoghi di villeggiatura, di quanto siano mutati rapidamente i criteri architettonici di costruzione dei nuovi fabbricati.
Per rispondere ad una domanda di ospitalità crescente, nazionale ed internazionale, ma anche per favorire una residenzialità stanziale di chi ci è nato e ci vive da sempre, per le giovani coppie che mettono su famiglia o per chi va in pensione ed acquista l’agognata prima casa: si ampliano i contesti urbani e si modificano – in modo visivamente non sempre piacevole – le tipologie delle nuove costruzioni abitative.
L’impatto è evidente a colpo d’occhio ed è persino paradossale che siano gli “italiani” che provengono dai centri abitati durante l’anno nel resto della penisola ad accorgersi di una deriva di omologazione nei confronti dei luoghi di provenienza, una tendenza che assimila il concetto e la struttura di casa “qui” a quella di dove si vive quando si va al lavoro e si mandano i figli a scuola.
Luoghi di provenienza che un tempo si lasciavano più volentieri nei periodi delle vacanze perché si sapeva di trovare qualcosa di unico e non rinvenibile altrove: ne’ in Val d’Aosta, ne’ in Svizzera e nemmeno in Austria.
Ci si accorgeva di entrare per un periodo più o meno lungo in un ambiente residenziale assolutamente unico al mondo, nella bellezza della natura, nell’accoglienza ricevuta, nelle abitazioni dove si sostava. Tanto che in molti hanno coronato il sogno di acquistare una seconda casa, altri di venirci a vivere per sempre, per abbandonare i conflitti condominiali, il traffico dei centri urbani, le liti per i posteggi. Oltre a trovarci l’aria, l’acqua, il verde che fanno dell’Alto Adige la montagna per definizione.
Abbiamo conosciuto e continuiamo ad apprezzare gli aspetti più evidenti, anche esteticamente, che caratterizzano lo specifico abitativo del vivere in montagna, il rispetto delle tradizioni ereditate dagli antenati, le peculiarità che rendevano ospitali valli a altipiani insieme ad una vocazione turistica che hanno reso unici e inimitabili questi luoghi, direi l’attaccamento alla conservazione delle peculiarità del posto: qui parlare di “heimat” significa dire casa, patria, luogo natio, costumi ed usanze del sud Tirolo, cura del territorio, rispetto della natura e della cultura tramandata, degli insegnamenti di vita ricevuti dagli anziani, significa “riconoscersi” in stili di vita quotidiana completamente diversi dai centri urbani edificati altrove.
Da qualche anno molto sta cambiando anche qui e forse sono proprio coloro che qui sono nati e ci vivono che non si rendono conto dello sbaglio che fanno nel cercare di assomigliare sempre più agli altri fino a confondersi, anziché fare tutto il possibile per mantenersi unici. Si notano molte gru che svettano e si capisce che i locali investono in nuove costruzioni per ospitare un numero sempre maggiore di persone, si vedono però edificare abitazioni che nulla hanno a che fare con le tipiche costruzioni del posto. Sono case squadrate, con il tetto “piatto” (come usa al mare) per ricavare una volumetria maggiore e vendere qualche appartamento in più.
Abbandonando i vecchi tetti a spiovente, sotto i quali stava al massimo una mansarda: ma come erano belle, uniche, tipiche (e come lo sono quelle che rimangono in maggioranza) quelle case di montagna! Ora sono tendenzialmente sostituite da casermoni o comunque da “cubi”, che non hanno alcuna analogia con le costruzioni del passato e sono diversi rispetto al contesto urbano preesistente ma anche alla natura stessa, che qui è cangiante, nei profili delle vette, nei colori, nelle valli ondulate: nulla in natura qui è geometrico e netto, non esiste quadratura, tutto è armonia che mozza il fiato.
Abbandonare le vecchie costruzioni col tetto a spiovente per sostituirle con i caseggiati che vediamo negli hinterland delle grandi città, dove si sgomita per trovare spazio e difendere la privacy familiare, ma anche al mare (per altre ragioni: per raccogliere acqua piovana in periodi di siccità, ad esempio) significa commettere un delitto urbanistico.
Significa cacciare a pedate da questi luoghi di tradizioni antiche il “genius loci” che vi abitava un tempo.
Cosa è il genius loci? E’ lo spirito impalpabile che conserva un luogo e gli conferisce specificità: farne a meno in nome del profitto (ricavare e vendere uno o due appartamenti in più) significa lasciare per strada ciò che abbiamo ricevuto dal passato e che aveva un senso: il senso della storia, delle generazioni che ci hanno preceduto, dei vecchi che fiutavano l’aria, ascoltavano il vento, guardavano il cielo e il corso dei ruscelli e prevedevano il tempo, costruivano la propria casa modellata agli insegnamenti di madre natura per farne un tempio di sapienza, saggezza, manualità, esperienza, senso pratico, utilità, funzionalità, rispondenza ottimale ai bisogni vitali da tramandare ai posteri.
La politica ha le sue responsabilità nelle concessioni edilizie, assecondando l’architettura delle case quadrate, gli uffici tecnici non formulano rilievi sui tetti piatti che raccolgono neve e ghiaccio e facilitano fenditure e penetrazioni di umidità. In tutte le scelte comanda un principio: ottenere il massimo profitto dalla volumetria più ampia possibile, per saturare questi cubi “similcittadini” del numero maggiore di appartamenti ricavabili. Una scelta che genera una sorta di “inquinamento estetico”.
Non tutto può essere omologabile, uguale, riproducibile in ogni contesto. La natura detta regole che vanno rispettate ed ossequiate. Vedo molta gente che guarda con desolazione edificare case che qui sono fuori posto, un pugno nell’occhio rispetto al contesto. Esse sono un affronto alla bellezza e all’armonia che un tempo abitavano questi luoghi e ne facevano un incanto a vedersi: la diversità era un valore, la specificità una ricchezza da difendere, un privilegio da vivere e godere.
Le tendenze urbanistiche e architettoniche stanno imboccando un’altra strada che porterà a rendere questi luoghi ‘contaminati e uguali tra loro’ e molto simili per fattezze e fisionomia a quel ‘resto’ dal quale , per pochi giorni o per sempre tutti volevamo fuggire.