Come già evidenziato, il bilaterale di Ferragosto tra Trump e Putin alla Joint Base Elmendorf-Richardson di Anchorage non ha proposto nulla di costruttivo: quel red carpet steso in onore dell’illustre ospite ha lasciato in totale imbarazzo il Presidente USA, ricordando implicitamente che dal giorno del suo insediamento alla Casa Bianca (e nella magniloquenza del programma elettorale) aveva affermato che la guerra in Ucraina si sarebbe conclusa in pochi giorni.
L’incontro ha semmai rafforzato le mire strategiche del capo del Cremlino, che si era presentato a quell’appuntamento ostentando una non scalfibile sicurezza.
Pechino e l’asse anti-occidentale
Il successivo vertice di Pechino, alla presenza dei leader del rassemblement anti-occidentale con tanto di parata militare e sfoggio di potenza bellica nucleare, non ha inviato al mondo alcun segnale di distensione e di pace, ma un messaggio di coesione, compattezza, minaccia e forza.
Trump continua a tessere una tela che ricorda quella di Penelope: facendo e disfacendo, promettendo e smentendo, minacciando dazi come deterrente ritorsivo alle emergenze di una nuova geopolitica (da lui stesso incautamente provocata).
Deve combattere su due fronti: quello del consenso interno, centrato sul progetto MAGA, e quello esterno, dove nelle relazioni internazionali predilige l’ostensiva mediazione con i tradizionali nemici piuttosto che rinsaldare i legami con i tradizionali alleati occidentali.
Le difficoltà dell’Europa e l’esempio di Draghi
Ciò ha creato non pochi problemi a Zelensky e ai leader europei: Putin si è sempre sottratto a ogni tentativo di incontro finalizzato a una tregua e ha continuato a bombardare l’Ucraina, sommersa da attacchi crescenti di droni, dimostrando che lui la pace non la vuole se non come resa incondizionata di Kyiv e annessione dei territori.
La balbettante Europa, tra conciliaboli, meeting e strette di mano, non è andata oltre la 19ª sanzione contro la Russia. Viene da chiedersi quale deterrente abbiano indotto nelle mire espansive del Cremlino le 18 precedenti, se oggi Putin conta di disporre di 700 mila soldati schierati sul campo.
Fondamentalmente USA ed Europa non hanno saputo leggere i segnali di debolezza della Russia, che di fatto ha lasciato sul campo più vittime di quante ne abbia disseminate, nonostante la devastante distruzione del territorio ucraino, recentemente in particolare nelle regioni di Donetsk, Dnipropetrovsk, Kharkiv, Kherson, Kyiv, Poltava, Sumy, Zaporizhzhia, Nizhyn, Chernihiv e il massacro della popolazione civile.
Il disimpegno di Trump, che considera la guerra russo-ucraina una faccenda che tocca all’Europa risolvere, e le incertezze dei Paesi del vecchio continente hanno enfatizzato un’immagine dirompente e dilagante della Russia.
Mario Draghi, a cavallo del suo rapporto sul futuro della competitività europea, ha più volte e in almeno due occasioni ufficialmente esposto un piano che – bypassando retorica e indecisione – sarebbe stato risolutivo e avrebbe mandato Mosca in default economico-finanziario: evitare qualunque finanziamento indiretto della Russia attraverso l’acquisto del suo gas e del suo petrolio (sull’oro nero va registrata la recentissima analoga raccomandazione dello stesso Trump rivolta all’Europa, che fa parte del copione “vedetevela voi”).
L’esercitazione Zapad 2025 e le provocazioni aeree
Putin ha continuato a tessere la sua strategia a un tempo espansiva e provocatoria: con la Bielorussia ha dato il via all’esercitazione militare congiunta Zapad 2025, con l’impiego di 13 mila uomini e il dispiegamento del missile ipersonico Oreshnik, un’arma a lungo raggio in grado di essere equipaggiata con testate atomiche, presente sia a Kaliningrad che in Bielorussia.
Contemporaneamente – ritorcendo spudoratamente le responsabilità verso la NATO e i Paesi europei confinanti, da sempre accusati di atti di provocazione – ha iniziato a saggiare le reazioni dei Paesi limitrofi con la violazione dei loro spazi aerei attraverso l’incursione di aerei e droni senza piani di volo e con i transponder spenti: ci hanno provato in Polonia, Romania, Estonia, Lituania, arrivando ad essere intercettati sopra gli aeroporti di Copenaghen e Oslo.
Il segnale è chiaro: da un lato l’operazione Ovest (Zapad) 2025 potrebbe diventare una riedizione via terra dell’“operazione militare speciale” (non dimentichiamo che i confini con la Finlandia sono presidiati da truppe russe), dall’altro, con le provocazioni dei sorvoli oltre confine, Putin vuole saggiare le reazioni diplomatiche, politiche e militari dei Paesi Nato.
L’Ucraina diventerebbe una tappa intermedia di espansione in Europa: non è fantapolitica, perché i segnali sono eloquenti.
Moldova, Transnistria e le elezioni condizionate
Putin sta tentando di condizionare le elezioni in Moldavia (le autorità locali hanno sequestrato 600 mila euro provenienti dalla Russia per comprare i voti) e si aprirebbe un fronte di accesso all’Ucraina passando da Odessa e la Transnistria.
Ma c’è una terza via che il Cremlino sta orchestrando: intese o disimpegni delle forze politiche populiste, con una prospettiva di escalation che fa leva sulla disgregazione dell’unità europea.
Non è affatto estraneo a questa logica – che si alimenta di affiliazioni ideologiche striscianti e sobillazioni popolari – ciò che sta accadendo in Francia: di fatto Macron (non solo perché dispone del nucleare) è il leader europeo più inviso al Cremlino.
Non è tempo di distinguo e disimpegni: specialmente nell’U.E. servono compattezza e unità d’intenti, l’essere unisoni nel cogliere i potenziali pericoli.
Il ruolo di Trump e l’urgenza di una visione
Uno studio ONU – che pare fatto apposta per rendere l’Europa ancora più debole e vulnerabile – stabilisce che in 100 ore Putin potrebbe impadronirsi del continente. Ma non è produttivo enfatizzare allarmismi: davvero la visione e la lungimiranza di Mario Draghi sarebbero un valore aggiunto che farebbe leva sull’intelligenza tattico-strategica, piuttosto che sul frettoloso riarmo militare, inviso a molti, anche se drammaticamente necessario.
In questo momento contare sul sostegno di Trump è come perdersi nello sconquasso internazionale provocato dalla sua imprevedibilità.
Uno che fa di tutto per screditare la scienza e la medicina ufficiale (The Wall Street Journal riferisce che lui e Kennedy sconsigliano tachipirina e vaccini per l’epatite B perché provocherebbero l’autismo), che disprezza Harvard e considera uno spreco finanziare università, studi e ricerca pura e applicata, mentre dedica più attenzione agli accordi con la Cina per una partnership su TikTok, alimenta timori e incertezze che dobbiamo invece scrollarci di dosso, risolutamente.