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martedì, Aprile 15, 2025
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Come reagire alla strategia nazionalista dei “Patrioti” contro l’Unione

Andrà enfatizzato l’impegno unitario delle nazioni europee per affrontare con volontà di successo le pur difficili, difficilissime sfide all’insegna di una progettualità intrisa di speranza e fiducia, e non solo di freddi ragionamenti.

Rinvigorite dalla contestazione “pacifista” all’ipotizzato riarmo europeo dovuto alla fine – forse definitiva, forse no – della storica alleanza con gli USA, le destre europee si stanno rafforzando all’insegna di un progetto antifederalista oscillante, per il momento, fra una sorta di idea “confederale” della UE e un suo deciso abbandono.

Il sostegno di fatto alla visione imperiale di Putin, questo neo-pacifismo che rifiutando il rafforzamento militare di fatto fa il gioco dell’uomo che sta al Cremlino; così come la consolidata postura nazionalista e il tradizionale approccio populista volto a conquistare il supporto di una massa popolare sempre più impaurita dalle difficoltà economiche e facilmente suggestionabile dalla minaccia di un’ondata migratoria che la sommergerebbe privandola di sicurezza e lavoro, costituiscono gli ingredienti-base della ricetta anti-Bruxelles.

A differenza però di quanto accaduto in Gran Bretagna, e forse proprio per quello (visti i risultati certo non positivi della Brexit, ormai evidenti a tutti e ai sudditi di Re Carlo per primi) la strategia dei “Patrioti” e delle nuove destre operanti nei diversi paesi del continente pare essere rivolta a produrre il consistente ridimensionamento delle competenze e dei poteri dell’Unione, che andrebbero ridotte alle sole “competenze esclusive” (concorrenza, commercio estero, moneta, unione doganale).

Per il resto, in attesa del conseguimento di una forza elettorale in grado di poter riformare i Trattati, la tattica consisterà in una guerriglia sistematica contro ogni atto della Commissione e ogni voto del Parlamento ritenuto lesivo delle singole sovranità nazionali. E ogni sconfitta (dovuta per il momento alla “tenuta” europeista dei gruppi socialisti, popolari e verdi) verrà reclamizzata come un’ulteriore battaglia contro la “casta burocratica e anti-popolare” di Bruxelles, che alla fine – dopo tante altre battaglie – verrà inesorabilmente sconfitta.

Un approccio che si potrebbe forse definire “confederale” e dunque all’apparenza non così aggressivo come fu quello britannico dieci anni fa: più sottile, meno inquietante perché non prevede un salto nel non conosciuto e quindi all’apparenza più attento alle preoccupazioni e alle rimostranze dei ceti sociali indeboliti dalle crisi che stanno con cadenza frequente caratterizzando il nuovo secolo dopo i lunghi decenni della crescita seguiti alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale.

Allo stesso tempo, però, un progetto che nel sostanziale ritorno alla preponderanza dello stato-nazione interpreta al meglio la filosofia neo-imperiale di Trump e Putin, per i quali l’UE è un fastidioso nemico del quale liberarsi quanto prima. Ben sapendo che essa ha una forza potenziale in grado di bloccare se non addirittura sconfiggere quella errata concezione del nostro continente.

Ora, se questo è il quadro, il compito che hanno i sostenitori del progetto federalista non è solo quello di perseguirlo con coerenza e pazienza, ma oggi con maggiore urgenza di ieri; è pure – e direi soprattutto, a fronte della minaccia che lo sovrasta – di renderlo più comprensibile ai cittadini europei, più vicino ai loro problemi, più positivo e ottimistico circa il futuro dei loro figli e nipoti, potremmo dire – utilizzando un inglesismo oggi tanto di moda – più smart.

Non dunque solo un cupo messaggio in negativo, denso di verità oggettive ma tutto impostato sulla paura, del tipo “senza Europa unita il nostro destino sarà inevitabilmente decadente” e quant’altro. Al contrario, andrà enfatizzato l’impegno unitario delle nazioni europee per affrontare con volontà di successo le pur difficili, difficilissime sfide contemporanee (il cambiamento climatico, i rischi pandemici, la “transizione digitale” e l’IA, le minacce russe nei confronti dell’oriente continentale, la pervasiva concorrenza commerciale cinese, l’emergenza demografica, le migrazioni africane) all’insegna di una progettualità intrisa di speranza e fiducia e non solo di freddi ragionamenti e aridi numeri, che pure sono importanti – ovvio – ma non rappresentano l’unico aspetto della questione, l’unico possibile svolgimento del tema.

Una visione di futuro, democratico e socialmente equo. Per riaffermare, nei tempi nuovi, un modello di libertà e di welfare che non ha eguali al mondo. È una tale visione che l’UE deve ora riuscire a prospettare ai suoi preoccupati cittadini. Urge una classe politica di spessore, però. Di un livello superiore, come chi seppe avviare i primi passi di quella che, dopo la guerra, venne immaginata in prospettiva come una “unione sempre più stretta”.