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domenica, 15 Giugno, 2025
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Come salvare il lavoro nell’era dell’AI: il tempo per decidere è ora

Rassegnarsi a un futuro di cassa integrazione, redditi di cittadinanza, baby pensionamenti? Oppure immaginare qualcosa di diverso? Di seguito un ampio stralcio dell’articolo che l’autore pubblicherà sulla rivista scientifica “Media Duemila”.

C’erano anni in cui il treno era molto più di un mezzo di trasporto: era un mondo. Le stazioni pullulavano di capistazione, addetti agli scambi manuali, personale ai segnali, controllori, operai nei depositi. Ma tra la fine degli anni ‘70 e i primi anni ‘90, tutto cambiò. Le Ferrovie dello Stato Italiane iniziarono una profonda trasformazione, spinta da una nuova ondata tecnologica: segnalamento centralizzato, automazione degli scambi, bigliettazione elettronica. Un treno non aveva più bisogno di dieci persone per muoversi da una città all’altra. Bastava un macchinista, un centro operativo, un software.

In quel contesto, migliaia di lavoratori si trovarono “di troppo”. Per evitare licenziamenti di massa, lo Stato spinse per una soluzione: il prepensionamento, anche con 15 o 20 anni di contributi. Tra il 1981 e il 1993 furono oltre 80.000 i dipendenti FS che lasciarono il lavoro in anticipo, e più di 40.000 lo fecero da veri e propri “baby pensionati”. A volte a soli 42 o 45 anni.

Non era solo un problema di conti pubblici. Era la fine di un’epoca, e l’inizio di una riflessione che oggi torna più che mai attuale: cosa succede al lavoro quando arriva una nuova tecnologia?

Come disse Luciano Gallino, sociologo del lavoro: “Abbiamo usato la tecnologia non per migliorare il lavoro umano, ma per ridurlo, scaricando sulla collettività il prezzo del progresso”.

Il presente che bussa: intelligenza artificiale e il futuro del lavoro in Italia

Oggi siamo a un nuovo bivio, forse più grande di quello vissuto dalle Ferrovie. Questa volta non si tratta solo di automazione meccanica, ma di qualcosa di più profondo: l’intelligenza artificiale, capace non solo di “fare”, ma di pensare, decidere, sostituire funzioni cognitive umane. E la sua diffusione sta accelerando.

Secondo studi del Politecnico di Milano, McKinsey e OCSE, l’AI trasformerà radicalmente interi settori dell’economia italiana. Nei prossimi 3 anni rischiano di sparire almeno 165.000 posti di lavoro, che diventeranno 305.000 in 5 anni, e oltre mezzo milione entro il 2035. Le aree più colpite? Banche, assicurazioni, logistica, amministrazione pubblica, sanità amministrativa e commercio al dettaglio.

Certo, l’AI può anche creare nuovi ruoli, ma la velocità con cui distrugge lavoro è più alta della capacità del mercato di crearne di nuovo e non è affatto detto che i lavoratori e i professionisti che perderanno il lavoro potranno svolgere i nuovi lavori che con l’AI si potranno generare. E allora che fare? Rassegnarsi a un futuro di cassa integrazione, redditi di cittadinanza, baby pensionamenti, oppure immaginare qualcosa di diverso?

Io, come intellettuale, studioso ed esperto di AI, condivido il pensiero dell’economista Jean-Paul Fitoussi, il quale diceva chiaramente: “La riduzione dell’orario di lavoro non è una rinuncia, è una redistribuzione dell’intelligenza”.

Il futuro che possiamo scegliere: meno lavoro, più vita. E una società più equa

C’è un’alternativa alla società dei baby pensionati digitali o delle persone eternamente assistite: usare la tecnologia per lavorare meno, ma meglio. Se le aziende che impiegano l’intelligenza artificiale producono di più con meno personale, allora devono condividere questa produttività.

Immaginiamo un sistema in cui, per legge o contratto, chi implementa AI in modo massiccio sia obbligato a ridurre l’orario di lavoro a parità di stipendio. Una sorta di part time redistribuito: 20/30 ore settimanali invece di 40.

Non è utopia. È già realtà in alcune sperimentazioni in Francia, Germania e Regno Unito. E i risultati? Maggior benessere dei lavoratori, più produttività, meno assenteismo, più domanda interna.

Un sistema così farebbe bene anche ai conti pubblici: meno cassa integrazione, meno pensionamenti anticipati, meno disagio sociale. E soprattutto, restituirebbe senso al progresso. Perché il vero valore dell’AI non è sostituire le persone, ma alleggerirle dalla fatica.

Lo stesso era accaduto con la macchina a vapore, che ci liberò da 12-14 ore di lavoro al giorno, o con l’energia elettrica che rese sicure e pulite le fabbriche.

Come scriveva Karl Polanyi: “Chi non governa una rivoluzione industriale, ne subirà le conseguenze. Peggio: la subirà in silenzio”.

Americo Bazzoffia

Docente universitario, giornalista, imprenditore, esperto di digital trasformation e Intelligenza artificiale