La politica è autorevole, credibile e nobile quando esistono almeno, e soprattutto, tre condizioni che erano e restano decisive ed essenziali. E cioè, culture politiche di riferimento, classi dirigenti di qualità e partiti democratici, rappresentativi ed espressione di pezzi di società. Ma, senza la presenza delle culture politiche, non può esserci nè buona politica e nè programmi credibili e di governo. Non a caso, la crisi peggiore della politica coincide sempre con la presenza dei partiti populisti, cioè con soggetti politici che sono del tutto privi di qualsiasi riferimento culturale, ideale e programmatico specifici se non quello di aizzare la pubblica opinione all’insegna dell’anti politica, della demagogia e di programmi che prescindono radicalmente da qualsiasi cultura di governo. Come è puntualmente avvenuto anche nel nostro paese con l’avvento al potere dei partiti populisti.
Ora, al di là delle vicende contingenti della politica contemporanea e pur senza coltivare alcuna tentazione nostalgica, è di tutta evidenza che le culture politiche certificano la solidità e la credibilità dei rispettivi progetti politici. Oltre, come ovvio, alla personalità dei partiti stessi. Del resto, cosa ci si può attendere dai partiti personali o dai cartelli elettorali se non una mera ed esclusiva logica di potere oltretutto legata esclusivamente alle fortune del capo partito? È noto a tutti, del resto, che i partiti personali – oggi presenti tanto a destra quanto, e soprattutto, a sinistra – non sono caratterizzati da dibattiti e confronti politici interni se non come esercizio concreto per declinare quella “democrazia dell’applauso” che Norberto Bobbio già denunciava verso la fine degli anni ‘80 quando parlava del rischio del “progressivo inaridimento culturale ed ideale dei partiti politici italiani”.
Ed è per questi motivi, semplici ma essenziali, che se si vuole far ridecollare la politica si deve ripartire dalla riscoperta delle culture politiche, che vanno certamente aggiornate e riviste ma che non possono e non debbono essere qualunquisticamente archiviate. Pena, appunto, la caduta verticale della credibilità dei partiti e la loro trasformazione in banali ed aridi contenitori elettorali. E questo anche perchè quando le culture politiche cedono il passo alla sola esaltazione del capo, si corre il serio rischio di fare trionfare il trasformismo e l’opportunismo che restano le più concrete degenerazioni dopo la cancellazione delle culture politiche di riferimento. Ma c’è un’altra, ed ultima ragione, che spinge verso il ritorno delle tradizionali correnti di pensiero. E cioè, se è vero – com’è vero – che deve essere salutato positivamente il ritorno delle antiche categorie della destra, della sinistra e del centro, è altrettanto evidente che queste categorie hanno un senso e un ruolo solo se sono accompagnate e supportate dalle rispettive culture politiche di riferimento.
Del resto, per fare un solo esempio concreto, che senso avrebbe continuare a parlare della necessità di rilanciare un Centro politico e, soprattutto, una “politica di centro” nel nostro paese senza riscoprire la storia, la tradizione, il pensiero e la stessa prassi del cattolicesimo popolare e sociale nel nostro paese?. E così vale per la destra e la sinistra. Ecco perchè è arrivato il momento, dopo il voto del 2022 e il ritorno della politica, di farla accompagnare anche dalla riscoperta delle tradizionali culture politiche. Solo così sarà possibile sostenere che la stagione del populismo demagogico e anti politico è ormai alle nostre spalle.