Dunque, dopo il voto americano – ma ormai è un elemento sempre più gettonato e diffuso – è un classico sostenere che le “le elezioni si vincono al centro”. Una riflessione, in effetti, abbastanza calzante in molti sistemi politici. Ovviamente in quelli retti e disciplinati da una cultura democratica e costituzionale. Del resto, nel momento in cui il populismo antipolitico, antiparlamentare, demagogico e qualunquista comincia a mostrare le prime crepe e le prime difficoltà strutturali – dopo l’ubriacatura di questi ultimi anni – è persin scontato che larghi settori della pubblica opinione italiana, ed europea, iniziano lentamente a riscoprire e a valorizzare gli elementi costitutivi del centro. O meglio, “della politica di centro”. Sono noti questi elementi: cultura della mediazione, cultura di governo, cultura riformista, ancoraggio alla democrazia rappresentativa e parlamentare, riconoscimento del pluralismo, importanza dei corpi intermedi, rifiuto pregiudiziale di ogni sorta di radicalizzazione del conflitto politico e, infine, elogio della mitezza e della concezione “temperata”della politica, per dirla con un grande leader della sinistra Dc, Mino Martinazzoli. Ecco, si può tranquillamente sostenere che tutto ciò è l’esatto opposto della esperienza concreta e della prassi politica del movimento/partito dei 5 stelle.
Ma, al di là delle modalità e delle identità dei singoli partiti, è indubbio che il tanto detestato e criminalizzato “centro” comincia a farsi largo, almeno come elemento decisivo per vincere le elezioni e contrastare chi privilegia ancora la radicalizzazione del conflitto politico attraverso la scorciatoia populista e demagogica.
Ora, quello che sconcerta di fronte a questo riconoscimento sempre più marcato e trasversale, è la quasi unanime considerazione che nessun partito di centro, in particolare nel nostro paese, potrà mai più decollare. Se qualcuno si differenzia dai partiti populisti o di destra o di sinistra, l’unico elemento che respinge seccamente e senza appello è quello di essere definito e riconosciuto come un “partito di centro”. Quasi fosse un insulto o una infamia. È difficile comprendere le ragioni politiche e culturali di questo respingimento, persin violento. Forse l’atavico pregiudizio che persiste nei confronti della nobile e straordinaria esperienza della Democrazia Cristiana. O forse, più semplicemente, l’avversione cronica ed ancestrale nei confronti della definizione di centro. Inteso come espressione di antico, di vecchio, di datato e quindi inesorabilmente da archiviare. Ma quello che stupisce, e che resta un fatto perlopiù misterioso, è che molti invocano la necessità di riavere una “politica di centro” alla sola condizione di non ridar mai più vita ad un “partito di centro”.
Certo, nel nostro paese replicare la Democrazia Cristiana è pressochè impossibile per ragioni storiche, politiche, culturali e sociali. Ma è indubbio che, allora, le strade sono solo due : o i vari partiti – nè populisti e nè sovranisti – cercano, nella concreta azione politica, di recuperare quel patrimonio di metodo e di merito oppure, inesorabilmente, ci si deve rassegnare ad una permanente e strutturale radicalizzazione del conflitto politico con tanti saluti alla stabilità dei governi e delle coalizioni. Perchè se si continua a vincere al centro e se l’elettorato conferma di tornare a privilegiare chi interpreta le caratteristiche che storicamente nel nostro paese si sono riconosciute in un centro politico, culturale e di governo, è indubbio che tutti i partiti di governo – di qualsiasi schieramento siano, soprattutto in un contesto politico sempre più post ideologico – tenderanno a convergere proprio al “centro”. Semmai, si tratta di capire come si declinano oggi, nell’attuale contesto politico e sociale, quegli elementi costitutivi di una “politica di centro” che richiede anche una classe dirigente adeguata accompagnata da una solida cultura politica.
Perchè, ed è bene non dimenticarlo mai, i partiti di centro del passato, in primis la Democrazia Cristiana, non solo evocavano astrattamente il richiamo ad un centro politico, ma lo praticavano concretamente attraverso un percorso e una solida e specifica cultura politica. Il tutto non può avvenire casualmente o solo come frutto di un tweet o di un post su FB. Se così fosse la “politica di centro” non potrebbe che ridursi ad una evocazione giornalistica o, al limite, ad un ricordo di una stagione lontana dalla miserie della contemporaneità.