Presidente Gian Luca Galletti, quanto contano in un contesto sociale, istituzionale e produttivo qual è il mondo del lavoro i temi e le metodiche della cooperazione? Trovo che questi principi possano diventare i cardini per l’ottimizzazione delle risorse umane in funzione del raggiungimento di un risultato condiviso non solo in termini di ‘prodotto’ ma anche come espressione di consapevolezza del concetto di bene comune.
Il paradigma cooperativo è stato ampiamente sottovalutato nel corso della storia del Novecento, che si è orientata intorno a prassi di contrapposizione, di scontro. Quando metti l’antagonismo tra classi alla base delle relazioni sociali, ogni progetto di bene comune scade, perché il bene è comune solo riguarda tutti. Siamo figli di questa storia. Oggi però la contrapposizione come metodo delle relazioni industriali è superata: le sfide che abbiamo davanti richiedono cooperazione tra le parti, non antagonismo.
Lo scrittore Mario Rigoni Stern affermava che non c’è soddisfazione maggiore di una “cosa ben fatta”. Trovo che l’aspetto motivazionale costituisca una leva formidabile di coinvolgimento consapevole poiché in una impresa dobbiamo prestare attenzione ai fattori oggettivi e a quelli soggettivi, in egual misura. È d’accordo?
Charles Peguy parlava di falegnami che costruiscono sedie con lo stesso spirito con cui si costruiscono le cattedrali. Il lavoro ha questa sacralità, qualsiasi lavoro. Il sistema di fabbrica ci ha abituati a pensare il lavoro come movimento esanime, all’operaio-macchina. Oggi il taylorismo è superato. Sempre più la tecnologia sostituisce l’uomo nella componente macchinale del lavoro. L’imprenditore ha bisogno di dipendenti che credono in quello che fanno e chi lavora ha bisogno di imprenditori che riconoscano il proprio valore: motivazione e produttività vanno insieme.
Viviamo in un mondo di interessi, ma l’aspetto computazionale non deve necessariamente sacrificare il dato umano. Numeri e idee possono coesistere in un progetto di condivisione e cooperazione?
Quando i portatori di interessi economici dimenticano il dato umano la società va in crisi. Giuseppe De Rita, in una pubblicazione sul Meridione italiano, “Il lungo Mezzogiorno”, sottolinea come sul lungo termine sia sempre il sociale a sostenere l’economia. Non il contrario. Perché i legami sociali funzionano innanzitutto su logiche cooperative.
Si impone a mio avviso la necessità di mutuare alcuni valori in uso nella prassi scolastica: educazione alla convivenza, socializzazione, promozione del senso civico, rispetto della dignità della persona, valorizzazione delle competenze. Possiamo pensare ad un transfert nelle aziende al fine di migliorare le relazioni industriali, in un’ottica di alleanza strategica tra capitale e lavoro, produttività e compartecipazione emotiva?
Senza dubbio l’alleanza tra capitale e lavoro è la grande sfida della dottrina sociale. In questo senso, la proposta di legge sulla partecipazione dei lavoratori in azienda, promossa dalla Cisl, ci trova concordi. L’idea è di prevedere incentivi al coinvolgimento dei lavoratori nella gestione dell’azienda, nella sua organizzazione, fino ad arrivare quando ci sono le condizioni anche ad una partecipazione all’azionariato, all’espressione di propri rappresentanti in consiglio di amministrazione. Una revisione radicale dei paradigmi delle relazioni industriali, che a quel punto non potrebbero che orientarsi verso forme di collaborazione e corresponsabilità tra azienda e sindacato. Certo, è un percorso. Più che un trasferimento delle prassi scolastiche, immagino un’ispirazione della migliore pedagogia per ripensare i ruoli tra le parti sociali.
Si va delineando una lunga deriva in cui la digitalizzazione avrà una valenza ubiquitaria ma anche una connotazione pervasiva: trovo che una delle conseguenze negative consista nella progressiva disintermediazione sociale. A partire dal dopoguerra, in epoca di ricostruzione del tessuto economico e sociale del paese i corpi intermedi dello Stato, delle istituzioni e del sistema produttivo, esercitavano una funzione di mediazione e collegamento tra apparati complessi e singolo cittadino.
È così. La digitalizzazione rischia di acuire le tendenze che isolano il singolo, che lo riducono a molecola invisibile di fronte ad apparati de facto legibus soluti. Pensiamo alle grandi realtà sovrannazionali della tecnologia, all’impersonalità dei loro algoritmi ai quali oggi sono demandate anche le scelte sulle assunzioni e sui licenziamenti. La tecnologia però può costituire anche un’occasione per mettere al centro la rappresentanza: da una parte per l’evidente necessità di governare i fenomeni, dall’altra perché tende a creare occupazione a livelli elevati della catena del valore e quindi spinge verso l’alto il ruolo della persona nel processo produttivo. Ovviamente, va governato il rischio di ricadute occupazionali. In questa prospettiva, i corpi intermedi – rappresentanti sindacali e datoriali – hanno ampi margini per svolgere un ruolo e di farlo a partire dai territori.
In che misura va considerata la dimensione relazionale, in una realtà di vita e di lavoro in cui paradossalmente da un lato crescono l’innovazione tecnologica e gli strumenti di comunicazione, mentre specularmente emerge un dato allarmante, più volte considerato nei più recenti Rapporti del CENSIS: quello di una società rancorosa, fatta da monadi isolate, di ‘mucillagine’ o ‘poltiglia di massa’, intesa come complessità, liquidità e ibridazione (per usare un’espressione di Giuseppe De Rita), solipsistica, acefala? Presidente Galletti, siamo un Paese che cresce (forse), ma senza sviluppo?
Lo sviluppo è un fatto di comunità, più si allentano i legami, meno la crescita si trasforma in vero sviluppo sociale. Il Censis ci mette in guardia. Scorgere questa complessità ibrida e indefinita fa parte del periodo di transizione. Dobbiamo decidere che forma vogliamo raggiungere, chi vogliamo essere, in un momento di forte cambiamento. E quindi chiederci: come promuovere la dimensione relazionale? Dal punto di vista dell’impresa, credo che il rinnovamento delle relazioni iniziare dal paradigma partecipativo.
Oltre la contingenza epocale del momento sembra che la crisi italiana sia forse più sociale che economica: la gente è spaventata da un futuro incerto e senza prospettive. In che misura partendo dal mondo del lavoro l’impresa che assume in sé i connotati della cooperazione e della condivisione può diventare cantiere per un nuovo progetto collettivo?
La divisione del lavoro nasce per rispondere efficacemente ai problemi della collettività. Dobbiamo tornare qui. Oggi l’impresa può diventare erogatrice di beni e di servizi di welfare, a sostegno della persona e della sua famiglia. Penso agli asili nido aziendali, all’assicurazione sanitaria, alle misure di bilanciamento tra vita e lavoro. Nel conciliare vita professionale e familiare, in un tempo in cui cerchiamo la parità tra i generi, l’impresa può avere un ruolo importante. Ancor di più, credo che l’impresa possa divenire – e in parte sia già – uno dei luoghi di ricostruzione di un senso condiviso. Da presidente di una banca cooperativa mi chiedo: dietro il lavoro di ogni giorno i miei colleghi ed io vediamo davvero il ruolo sociale del credito? Vediamo davvero le famiglie che acquistano casa, le imprese che creano occupazione, le persone che fanno nascere nuovi progetti? Se sappiamo vedere questa dimensione di senso, il lavoro si illumina.
Transizione ecologica e digitale, metaverso, intelligenza artificiale, cloud computing, algoritmi, robot: sono alcuni dei termini con cui ci si avvia ad elaborare una strategia di crescita sociale ed economica. Con quali risultati attesi? Con quale considerazione del fattore umano? Ci aspetta un destino non scritto o il risultato di uno sforzo di volontà?
Siamo davanti a quelle che potremmo definire singolarità della storia: dalle scelte che facciamo possono dipendere conseguenze molto grandi. Per la prima volta ci è posta la sfida di rendere i nostri modi di vivere e di produrre compatibili con l’ecosistema. Nelle precedenti rivoluzioni industriali ci siamo occupati solo di rendere i nostri modi di produzione più efficienti. Al contempo, è la prima volta che dobbiamo gestire automatismi inanimati a cui abbiamo conferito la possibilità di scegliere al posto nostro. Per Luciano Floridi, tra i massimi esperti al mondo in materia di intelligenza artificiale, le due sfide sono interconnesse e la tecnologia può favorire la transizione ecologica. Prima di tutto però la sfida è culturale.
Chi è Gian Luca Galletti
Commercialista, già deputato, sottosegretario al Ministero dell’Istruzione e Ministro dell’Ambiente nei Governi Renzi e Gentiloni, Gian Luca Galletti è oggi presidente di Emilbanca ed è al secondo mandato alla presidenza di Ucid, Unione cristiana imprenditori e dirigenti.