Jeremy Corbyn, ex segretario del Labour e figura di riferimento della sinistra radicale britannica, ha annunciato la nascita di un nuovo partito insieme alla deputata Zarah Sultana e ad altri parlamentari indipendenti.
Un partito nuovo, a sinistra dei laburisti
L’iniziativa mira a proporre un’agenda più netta su redistribuzione della ricchezza, nazionalizzazioni, giustizia climatica e politica estera critica verso la linea filo-atlantica di Starmer. Si tratta di una rottura senza precedenti nella storia recente del Labour, destinata a pesare sugli equilibri del centrosinistra britannico.
Il riflesso sul caso italiano: il mito del “tetto comune”
La mossa di Corbyn rappresenta un’ulteriore conferma che lo schema politico-organizzativo da cui è nato il Partito Democratico nel 2007 non regge più. In Italia, la formazione del nuovo soggetto alla sinistra di Starmer non può non imbarazzare – per ragioni dialettiche – soprattutto l’area riformista del Pd. Finora, l’argomento utilizzato per “giustificare” la convivenza di anime molto diverse sotto lo stesso tetto era l’esempio dei grandi partiti socialisti europei — in particolare il Labour — dove la vita democratica interna, si diceva, assicura il ricambio dei gruppi dirigenti e la correzione periodica dell’agenda politica, con spostamenti sensibili sul terreno della strategia di governo.
La regola aurea che salta
I riformisti del Pd hanno sempre insistito su questo punto: quando serve — e con la Schlein indubbiamente serve — si fa opposizione interna, non si punta alla scissione. Il modello era quello laburista: uniti malgrado linee di pensiero diverse e con ciò duttili nel prevedere l’alternanza di leadership con profili oggettivamente alternativi. Ora, però, ciò che costituiva l’incantesimo dell’unità a tutti i costi per mantenere la presa su un elettorato oscillante fra moderazione e radicalismo, salta clamorosamente con la scissione dell’ex leader.
Un messaggio anche per Roma (o meglio per il Nazareno)
Se questa è la novità che arriva da Londra, qualche riflessione si impone anche a Roma (al Nazareno): riformisti e radicali non sono obbligati a condividere lo stesso spazio di partito. Possono, eventualmente, condividere le ragioni di un’alleanza — ove possibile e utile — ma questa è una condizione distinta ed opposta rispetto alla retorica del “partito unico” di riformisti e radicali. Corbyn dimostra che rompere si può, e che talvolta è proprio la scissione a chiarire il profilo politico di ciascuna componente. A rovescio, sulla convinzione che la prospettiva riformista esiga uno spazio di autonomia e libertà, gli anti Schlein dovrebbero scorgere nella novità del “caso Corbyn” l’occasione per rompere la forzata e quindi fittizia condizione di unitarietà a sinistra, sotto le stesse insegne di partito.